Sulle spalle di Veltroni e Berlusconi il compito di aprire una nuova fase: tutt’altro che un inciucio
26 Novembre 2007
di redazione
Nel fine settimana più commentatori
hanno intravisto nel paventato accordo tra Berlusconi e Veltroni sul
proporzionale lo spettro del ritorno al passato: al tempo nel quale i partiti
la facevano da padroni e il Parlamento era null’altro che la camera di registrazione
degli accordi stipulati dalle segreterie. Non scherziamo. Solo chi non ha
un’idea di cosa sia storicamente stata l’Italia dei partiti può temere il
ritorno di quel tempo.
Potrebbe anche giungere qualcosa di
assai peggiore, ma quel periodo è morto e sepolto. Né vi sono i presupposti
politici, sociali e internazionali per riportarlo in vita. La proporzionale, da
sola, non può fare miracoli. Quello di assegnare ai sistemi elettorali – nel
bene come nel male -, virtù taumaturgiche è un antico vizio italico. E nemmeno
una ininterrotta serie di smentite, inaugurate dagli effetti della riforma del
1919, è servita a modificare tale radicato convincimento.
Questa settimana culminerà
nell’incontro tra Veltroni e Berlusconi. Ma sullo sfondo non vi è lo spettro
del passato quanto, piuttosto, il dubbio che, oltre l’eccitazione momentanea di
“svolte” e “partiti senza tessere”, vi sia realmente la possibilità che dalla
politica provenga, dopo quella del 1994, una nuova spinta propulsiva che
proietti il Paese oltre il declino.
Proporzionale o maggioritario,
infatti, su un fatto si può non nutrire dubbi: lo slancio del ’94 si è
esaurito. I partiti, a destra così come a sinistra, hanno avuto il tempo di
domarlo trasformandolo in rendita delle rispettive posizioni. Lungo la via, il
bipartitismo come valore a priori è
diventato una sorta di polizza sulla vita di partiti, leader politici e anche
di politicanti.
Bisogna ammetterlo: a rompere lo
schema è stata, innanzi tutto, la nascita del Partito Democratico. In un passato
anche assai recente ho espresso grandi perplessità sulle modalità di formazione
del Pd, sulla sua cultura politica nonché sui suoi modelli organizzativi.
Confermo tutto. Non per questo, però, è consentito ignorare che la nascita di
un grande partito a vocazione maggioritaria naturalmente proiettato verso il
centro e, per questo, alla ricerca di un rapporto non più obbligatorio con la
sinistra radicale, rappresenti qualcosa di oggettivamente sconvolgente per il
sistema politico.
Quell’accadimento esigeva che una
risposta giungesse sull’altro versante. Io assieme ad altri l’ho ricercata
attraverso il rafforzamento di Forza Italia e la paziente tessitura di una
federazione che potesse ricondurre tutte le forze dell’attuale centro-destra
nell’alveo del Partito popolare europeo. La forza carismatica di Silvio
Berlusconi, invece, quella risposta l’ha fornita domenica 18 a Piazza San
Babila, dal predellino di una Mercedes.
C’è chi se ne è scandalizzato,
scorgendovi i germi del populismo. Ignora, evidentemente, quanto sia profonda e
forte la radice sanamente populista della stessa tradizione popolare italiana.
E non considera come quella radice debba essere assolutamente recuperata se si
vorrà, insieme, interloquire con la novità espressa dal Partito democratico e
contrastare il suo tentativo d’espansione al centro.
Infatti, solo se il nuovo partito dei
moderati e dei liberali sarà in grado di rafforzare la propria vocazione
popolare e maggioritaria, dal confronto con il Pd potrà nascere un sistema nel
quale l’alternanza al governo non sia più vissuta ogni volta come un trauma
nazionale e dove il bipolarismo sia il frutto spontaneo di responsabilità,
cultura, consuetudini. Anziché il risultato meccanico e obbligato di qualche
marchingegno d’ingegneria elettorale.
Ciò significa che un sistema
elettorale vale l’altro? Non di certo. Per capire come sulle spalle di Veltroni
e, ancor più, su quelle di Berlusconi vi sia questa settimana il peso di un
tentativo più ambizioso di un semplice accordo in materia elettorale, bisogna
però uscire dalla mistica del maggioritario così come in altri tempi fu
necessario abbattere quella del proporzionale.
La vera scommessa in gioco è quella
di uscire dal 1994 senza smarrire quel che di buono il 1994 ha introdotto. Si
conservi l’alternanza come regola di funzionamento del sistema e si salvi anche
la dinamica inclusiva, senza cedere alla tentazione di riaprire le fogne. Per
il resto, Veltroni e Berlusconi dovranno ricercare modi e strumenti per
riconoscersi e farsi riconoscere come i rappresentanti dei due partiti centrali
del sistema, veicolo d’integrazione dei rispettivi alleati e disponibili,
seppure solo in casi eccezionali, a stare insieme.
Se si sarà intimamente convinti di
questa priorità, trovare una legge elettorale adatta alla bisogna sarà
difficile ma non impossibile. Di bravi tecnici ce ne sono a bizzeffe, da
entrambe le parti.