Sull’Egitto abbiamo molte idee e tanti dubbi

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Sull’Egitto abbiamo molte idee e tanti dubbi

02 Febbraio 2011

Sembra esserci una sola certezza nella crisi egiziana: il Paese baricentro del mondo arabo versa in una grave incertezza, che si riflette nei commenti di chi prova a raccontare l’accaduto. Vale anche per noi dell’Occidentale, per i collaboratori e gli analisti che scrivono abitualmente sulle pagine di questo giornale, o che l’hanno fatto sulla stampa amica. In questi giorni abbiamo pubblicato e tradotto articoli dal taglio molto diverso, opinioni e punti di vista discordanti, che sembrano riflettere la confusione che c’è all’ombra delle Piramidi. Oggi dedichiamo un’intera pagina alle giornate della rabbia egiziana, descritte dai quotidiani arabi e occidentali, tra la demagogia di Al Jazeera e il pessimismo del New York Times.

Ieri il presidente Obama ha chiesto a Mubarak una transizione immediata, di non ricandidarsi alle elezioni e di non ricandidare neppure suo figlio, Gamal, ma il Rais resiste, accetta di farsi da parte ma vuol morire nella terra che ha guidato per 30 anni. Non lascerà il Paese, per adesso neanche il potere. Il "traghettatore" è Suleiman –  acerrimo nemico di Al Qaeda -, l’uomo dell’esercito incaricato di gestire le elezioni; ma di soldati che afferrano lo scettro è piena la storia dell’Egitto moderno. Poi ci sono i Fratelli Musulmani, ora dipinti come pericolosi terroristi, ora disposti ad accettare le regole del gioco democratico, sharia permettendo. El Baradei e le altre forze dell’opposizione sono mediaticamente forti ma gli basterà il tardivo, virtuale riconoscimento degli Usa? Cosa faranno Israele e l’Iran? E gli egiziani possono fidarsi di Hamas? Sembra un test a risposta multipla e non è detto che la risposta sia sempre una ed una sola.

Mentre si accumulano le ultime notizie, e gli stranieri impauriti prendono d’assalto l’aeroporto del Cairo, le immagini della rivolta egiziana si mescolano a quelle della Tunisia, della Giordania, dell’Algeria. Di fronte a una sollevazione popolare che aspettavamo da anni, e di cui ancora non conosciamo l’esito, le proporzioni e le conseguenze, torna in mente il riddle wrapped up in an enigma di Winston Churchill. Lo statista britannico descrisse l’impero sovietico come un rebus racchiuso in un enigma. Con un paragone azzardato, la stessa spiacevole situazione tocca all’Egitto e al mondo arabo. Come quella madre che bacia un poliziotto – un giovane che deve scegliere con chi stare, con i suoi coetanei o con il potere.