Sull’Iraq Obama non la racconta giusta. Che fine ha fatto il piano Biden?
01 Settembre 2008
Ma non erano i due campioni democratici a voler dividere l’Iraq su base etnica? Si ispiravano addirittura al “modello bosniaco”. Un piano sbagliato e pericoloso che è sparito di colpo dalla tribuna di Denver.
Obama ha parlato: “Voglio mettere fine alla Guerra in Iraq in modo responsabile e portare a termine la battaglia contro Al Qaeda e i Taliban in Afghanistan”. Il divo ha sfidato McCain in un faccia a faccia sui temi di politica estera. Perché, ha ricordato, “Noi siamo il Partito di Roosvelt e di Kennedy. Quindi non pensate che i Democratici non saranno in grado di difendere questo Paese, o che saranno incapaci di badare alla nostra sicurezza”.
Obama ha scelto come vicepresidente il senatore Joe Biden, per la sua rinosciuta “esperienza negli affari esteri”. L’esempio più recente di questa “competenza” risale al 2006. Mentre l’insorgenza e il terrorismo iracheni erano allo zenit, Biden propose di dividere l’Iraq in tre zone, contestualmente al ritiro delle forze americane. Voleva seguire il “modello Dayton”, fidandosi della diplomazia iraniana, e credendo che Iran, Arabia Saudita e Turchia, sarebbero rimaste inermi mentre si formavano nuove entità autonome – curde, sciite e sunnite, a ridosso dei loro confini.
“L’idea – disse – è quella di mantenere unito l’Iraq decentralizzandolo, dando ai diversi gruppi etnici e religiosi un luogo dove gestire i propri affari, e mantenendo in vita un governo centrale che si occuperà degli interessi comuni”. Biden sognava una Conferenza internazionale sotto cappello onusiano, e fino all’altro ieri è rimasto un tema centrale della sua campagna (e di quella di Obama), il soggetto di numerosi discorsi, apparizioni televisive, nonché di una relazione democratica al Senato che risale allo scorso settembre.
Ma alla Convention di Denver il piano Biden per l’Iraq è misteriosamente sparito. La stampa se n’è dimenticata, forse imbambolata dall’evento rock. C’era anche un sito, che adesso risulta inaccessibile (http://planforiraq.com). Il giudizio sarcastico della rivista Commentary: “E’ una grande fortuna, per l’America e per l’Iraq, che il progetto non sia mai stato preso in seria considerazione”. L’Iran non aspettava altro che il ‘federalismo’ per trasformare le aree sciite dell’Iraq in un nuovo Libano meridionale, magari scatenando un’altra guerra su scala regionale. E la Turchia come avrebbe reagito alla nascita del Kurdistan?
Come avrebbe fatto Obama – con la sua proverbiale retorica sul “cambiamento”, sulla piena e definitiva integrazione razziale, a presentare agli americani un Iraq ridisegnato in enclave etniche? Non è l’America, come ci ha spiegato a Denver, che dovrà essere – ancora una volta – “l’ultima, grande speranza per chi si batte in nome della libertà, vuol vivere in pace e desidera un futuro migliore”. Seguendo Biden, gli Usa avrebbero tradito questa missione, comportandosi come qualsiasi Stato del Medio Oriente, dell’Asia o dell’America Latina, che opprime le sue etnie o religioni minoritarie.
In effetti, la Bosnia e l’Iraq possono essere paragonati, avendo delle comunità divise su base settaria, che non sono una creazione moderna ma vengono fuori dalla sparizione dell’impero austriaco e di quello ottomano. “Ma le somiglianze finiscono qui”, aggiunge Dan Senor sul Wall Street Journal, considerando che gli Accordi di Dayton furono sottoscritti quando ormai la Guerra nei Balcani volgeva a sfavore dei serbi. Quando Biden propose il suo piano, invece, l’estremismo e la resistenza sunnita, l’esercito del Mahdi, le Brigate Badr, la presenza di Al Qaeda in Iraq erano in ascesa.
La Nato impegnò circa 100,000 uomini in Bosnia e Kosovo, con un rapporta tra civili e forze occupanti di 5 a 1. Nel 2006, in Iraq lo stesso rapporto era di 700 a 1. “La nostra presenza era virtualmente invisibile”, tanto da convincere Obama e il suo vice a proporre il ritiro per la fine del 2007.
La divisione etnica sarebbe stata impossibile, e sanguinosa, anche perché – a differenza della Jugoslavia, che si era già smembrata negli anni della guerra civile, l’Iraq ha conservato la sua unità anche dopo l’invasione americana; c’erano milioni di profughi, dispersi, soldati in rotta, e circa 5 milioni di iracheni – soprattutto nelle grandi città, che vivono in quartieri fortemente misti.
Negli ultimi due anni, la Dottrina Petraeus ha dimostrato che si può contrastare l’etnosettarismo; le violenze di questo tipo sono scese approssimativamente dell’80%, grazie al ‘risorgimento’ sunnita e alla sconfitta delle milizie sciite più radicali. Con la nuova strategia, oggi l’Iraq ha un esercito multietnico. La Prima Brigata della Prima Divisione è composta al 60% da Sunniti e al 40% da Sciiti. Le brigate miste hanno combattuto insieme sia contro i terroristi sunniti legati ad Al Qaeda sia contro gli sciiti delle milizie sadriste.
Né Biden, né Obama, hanno spiegato perché il loro piano si è eclissato dal dibattito elettorale, o cosa ne pensano dei trend iracheni. McCain avrà l’occasione di rivolgere molte domande al suo rivale: qual era il suo Piano per l’Iraq? Avrebbe acconsentito a mandare altre truppe al fronte? E se adesso ritiene che Biden ha sbagliato perché non ne discute in modo serio invece che dimenticarselo?