Superare il bicameralismo per ricucire lo strappo tra politica e società
24 Febbraio 2014
Per una volta mi trovo in disaccordo con Angelo Panebianco. Il politologo bolognese, in un editoriale pubblicato ieri sul Corriere della Sera ("Il velocista e il pachiderma"), ha affermato che tra i punti critici del nuovo governo c’è "il fatto che il varo della nuova legge elettorale è rinviato sine die". Questo perché nell’accordo politico che ha sancito la nascita del nuovo governo è previsto che la riforma della legge elettorale sia collegata al superamento del bicameralismo paritario. Un proposito che, a suo avviso, non esprimerebbe un intento riformatore, ma sarebbe solo un escamotage per prendere tempo e prolungare il più possibile la legislatura.
Mi pare che tale analisi pecchi di eccessivo machiavellismo. Quale che sia il sistema elettorale che si adotterà, andando a nuove elezioni con due camere dotate di poteri equivalenti espresse da platee elettorali diverse, il rischio che non si disponga di una maggioranza omogenea in entrambi i rami del parlamento è altissimo. Guardato in questa prospettiva il collegamento tra le due riforme è nulla più che una previsione di buon senso, volta ad evitare l’ingovernabilità e a rinsaldare la democrazia dell’alternanza.
Ovviamente, e qui torniamo a concordare con Panebianco, dire che la riforma è auspicabile e anzi necessaria non vuol dire che sia facile da ottenersi. Al contrario, per la sua realizzazione sono prevedibili fortissime resistenze trasversali e non meno tenaci ostruzionismi sotterranei. La riforma, infatti, incide sulla composizione del ceto politico, prevedendo una riduzione di circa un terzo dei parlamentari.
Tuttavia, se il nuovo governo e, soprattutto, il suo leader vogliono promuovere un effettivo rinnovamento, se desiderano ricucire il rapporto tra mondo politico e società, che si è logorato moltissimo in questi ultimi anni (anche a causa della crisi economica), non possono accontentarsi di varare una nuova legge elettorale, ma debbono mettere mano anche a quel minimo di riforma costituzionale su cui esiste un largo consenso tra le forze politiche.
Certo, non sarà facile né scontato far votare ai membri del parlamento attuale una diminuzione dell’organico. Pure, non ci si può dichiarare sconfitti in partenza. Per perseguire questo obiettivo, infatti, il governo può contare sull’appoggio incondizionato dell’opinione pubblica. Cioè su quella che, in democrazia, resta la maggior risorsa per degli uomini politici animati da spirito riformatore.