SuperObama incassa un’altra vittoria e spiazza Hillary

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SuperObama incassa un’altra vittoria e spiazza Hillary

13 Febbraio 2008

“Sarò anche mingherlino, ma sono un duro”: Barack Obama aveva risposto con ironia alle ultime bordate sul suo carattere, sferrate da Hillary Clinton alla vigilia delle “primarie del (fiume) Potomac”. I risultati gli hanno dato ragione. Il senatore dell’Illinois si è imposto alla grande in tutti e tre gli Stati al voto, Virginia (primarie aperte, 83 delegati in palio), Maryland (70) e Washington District of Columbia (15). Ha così messo a segno un 3-0 che segue il 5-0 nelle primarie dell’ultimo week end. Con questo nuovo successo, dunque, Obama supera ora Hillary non solo nel numero degli Stati conquistati, ma anche dei delegati (1259 a 1210, secondo RealClearPolitics; 2025 è il numero magico per ottenere la nomination).

Parlando a Madison, in Wisconsin (prossima tappa delle primarie), Obama ha messo l’accento sulla multiformità della coalizione che lo sostiene. I dati sembrano confermare questa sua capacità di attrarre voti trasversalmente. Negli Stati ieri alle urne era scontato il voto della comunità afro-americana per Obama, ma il giovane senatore ha sorprendentemente superato Hillary anche tra l’elettorato ispano-americano, tradizionale roccaforte dei Clintons. “Abbiamo vinto a Washington D.C. e questo movimento”, ha detto Obama in uno stadio gremito di sostenitori, “non si fermerà fino a quando arriverà di nuovo a Washington D.C. Nessuno potrà più dire che la nostra speranza è fallace”. Obama ha poi sottolineato che la sua campagna elettorale sta dando una nuova possibilità di scelta ai giovani, che si stanno recando alle urne come mai prima nella storia americana. Obama si è anche permesso una gag nel suo discorso. “Qui tra voi”, ha detto sottovoce, “c’è una persona che prima di salire sul palco mi ha detto: ‘Sono repubblicano ma sono un tuo supporter” e io gli ho risposto senza farmi sentire: ‘Grazie amico’”.

%3Cp>Ancora una volta, Obama si dimostra un maestro di comunicazione. Riesce a commuovere con i suoi discorsi che sembrano sermoni di un predicatore, ma sa anche trovare la battuta giusta per sciogliere la tensione in una risata. Hillary continua a dire che lui fa retorica e basta, non parla dei fatti e formula proposte vaghe. Insomma, una riedizione clintoniana del celebre sfogo di De Niro negli “Intoccabili”: “Sei solo chiacchiere e distintivo”. Ma la stampa lo adora e lo coccola. La settimana scorsa ha perfino vinto un Grammy Award per il suo audio libro “The Audacity of Hope”. Soprattutto, sempre più americani (non solo democratici) si vanno convincendo che è l’uomo giusto per dare un nuovo corso all’America. C’è addirittura il sorgere di una “mitologia obamiana” che lo descrive con toni messianici. Su Youtube si può trovare un video in cui Superman ha le sembianze del senatore dell’Illinois.

Hillary, che aveva cercato di sminuire il risultato delle primarie dello scorso week end, si ritrova ora con un’altra sonora sconfitta. Per correre ai ripari, aveva anche rimpiazzato la sua campaign manager Patti Solis Doyle (ufficialmente ritiratasi per motivi personali) con la sua vecchia amica Maggie Williams, che è stata al fianco di Hillary negli 8 anni di presidenza Clinton. Parlando a El Paso, in Texas, la senatrice di New York ha ripetuto che lei è pronta a fare il presidente. Ma, a questo punto, bisogna piuttosto capire se gli americani siano pronti a rivederla alla Casa Bianca in veste di Commander-in-Chief. Non è un caso che Hillary abbia parlato dal Texas. Qui, la ex super favorita si gioca tutte le sue chance per ottenere la nomination, che con il passare dei giorni sembra sfuggirle di mano. Il Texas va al voto il 4 marzo, come anche l’Ohio. Due grandi Stati, in cui la senatrice spera di far bene. In Texas, pesa il voto dei Latinos (ma il dato della Virginia dimostra che gli ispano americani non sono più ad appannaggio esclusivo di Hillary). In Ohio, invece, è forte la classe operaia sindacalizzata (“the blue collars”) che finora ha votato per lei.

Sul fronte repubblicano, John McCain ha compiuto un altro passo importante verso la conquista della nomination. Il senatore dell’Arizona ha vinto in tutte e tre gli Stati, ampliando il margine di vantaggio su Mike Huckabee (797 delegati contro 240). L’ex pastore battista ha però confermato che lascerà la corsa solo quando sarà eliminato matematicamente. Quando, cioè, McCain avrà raggiunto i 1191 delegati necessari ad ottenere la nomination. Secondo i calcoli di ThePolitico.com ciò avverrà difficilmente prima del 22 aprile, data delle primarie in Pennsylvania. Nel suo “victory speech” ad Alexandra, in Virginia, McCain ha rivolto lo sguardo alla sfida presidenziale: “Non sappiamo ancora quale sarà il candidato democratico alla Casa Bianca, ma chiunque sia il vincitore tra Obama e Clinton noi sappiamo dove condurrebbe il Paese e perciò dobbiamo batterlo”. McCain ha criticato duramente l’approccio dei Democratici: “Affermano che l’America è in pericolo più per i suoi errori che per la minaccia del terrorismo. La mia promessa è che noi faremo la storia, non ne saremo vittime”.

Oltre a questa tornata favorevole, McCain (sempre al lavoro per compattare la base del partito dietro di lui) ha ottenuto degli endorsement pesanti nelle ultime ore. Il leader evangelico Gary Bauer ha annunciato il suo appoggio a McCain. Già candidato repubblicano nel 2000, Bauer ha dichiarato all’Associated Press che è importante lavorare per unire i conservatori in vista delle elezioni del 4 novembre ed ha lodato la posizione antiabortista di McCain. Endorsement anche da parte dell’ex candidato e attore Fred Thompson e dell’ex governatore della Florida, Jeb Bush, fratello di George W. Lo stesso presidente ha dato una mano a McCain definendolo un “vero conservatore” in un’intervista trasmessa domenica dalla Fox News. Si tratta di un sostegno ancora informale, che lo staff di McCain aspettava però con trepidazione. Nonostante la sua impopolarità nel Paese, infatti, Bush è ancora apprezzato dallo zoccolo duro repubblicano, piuttosto tiepido verso il moderato McCain. Per il veterano del Vietnam, un’altra tessera del mosaico sembra andare al posto giusto.