Svizzera, quel multiculturalismo editoriale che ci piace

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Svizzera, quel multiculturalismo editoriale che ci piace

01 Febbraio 2009

In principio – correva l’anno 1924 – era una libreria di Bellinzona. In principio – sbocciavano allora gli anni Sessanta – era una tipografia di Locarno. Questi gli esordi, rispettivamente, di due editori di lunga tradizione della Svizzera di lingua italiana. Nel primo caso si tratta di Casagrande, che pubblicò il primo volume nel 1950. Nel secondo caso, invece, di Armando Dadò, un marchio che affiancò ben presto l’attività editoriale a quella tipografica.

L’editoria elvetica, che deve fare i conti con la realtà di un paese quadrilingue, finisce per afferire – con l’esclusione della baby produzione in lingua romancia, che è esclusivamente svizzera ­– ai mercati tedesco, francese e italiano. Ogni editore ticinese è quindi inevitabilmente, in qualche modo, anche un editore italiano (basti pensare che su tutti i volumi è impresso il doppio prezzo in franchi e in euro). Un editore italiano, dunque, che però non cessa di essere un editore genuinamente elvetico.

D’altronde, la medesima sorte ibrida è condivisa anche dalla “letteratura svizzera” stessa, che ha un intrinseco carattere nazionale antico e non difficile da individuare ma è anche il prodotto di autori che partecipano a pienissimo titolo, a seconda della lingua utilizzata, alla storia delle letterature tedesca, francese e italiana.

In Canton Ticino, che – a eccezione di piccole aree dei Grigioni – è l’unica zona del paese in cui si parla la nostra lingua e che ha quindi una platea di lettori fatta di piccoli numeri, la bellinzonese Casagrande e la locarnese Armando Dadò costituiscono due casi di editoria di alta qualità. La produzione di Casagrande si articola in molte collane dedicate alla storia locale e alla riflessione sul territorio e sulla Confederazione tutta. Ma, accanto ai libri di più spiccato sapore ticinese, si è sviluppato un catalogo di consistente respiro.

Oltre ai romanzi e alle raccolte poetiche di autori svizzeri di lingua italiana come Giovanni Orelli, Alberto Nessi o Plinio Martini, Casagrande ha tradotto autori elvetici che scrivono in francese (Bernand Comment o Agota Kristof che è ungherese ma scrive nella lingua di Molière e vive a Neuchâtel, in Svizzera), in tedesco (e qui si incontrano nomi di cartello: Friedrich Glauser, Max Frisch, Friedrich Dürrenmatt, Robert Walser), in romancio (Oscar Peer o Leo Tuor). Ma, in omaggio alla lingua condivisa con lo Stivale, Casagrande ha pubblicato anche autori italianissimi come Laura Pariani o Piero Chiara. E non sono un’eccezione anche le escursioni lontanissime dai confini della Confederazione, come è il caso, ad esempio, di “Memorie di una contadina” di Lev Tolstoj e Tat’jana A. Kuzminskaja. Il settore narrativa di Casagrande è fatto di un equilibrio tra inediti, piccoli classici e trouvaille. Ma anche di qualche capolavoro, come nel caso de “Gli occhi di mia madre” di Glauser che è evidentemente sfuggito alla pur meritoria e attentissima Sellerio che, pubblicandone una decina di opere, ha fatto conoscere al pubblico italiano l’irregolare grandezza dell’inquieto, fragile, straordinario scrittore elvetico.

Meno conosciuta al di qua di Chiasso è la Armando Dadò che, a partire dagli anni Sessanta, ha accumulato un catalogo di oltre settecento titoli. Anche in questo caso, la produzione libraria di carattere regionale fa la parte del leone. Eppure, specie negli ultimi anni, gli interessi dell’editore locarnese hanno travalicato i confini dell’alto Verbano. E’ il caso della collana di poesie e prose poetiche “Alea” che ospita tra l’altro il toscano Piero Bigongiari e l’albanese Ismail Kadaré. Ma è il caso soprattutto dell’interessante collana “I cristalli-Helvetia nobilis” che propone opere di autori svizzeri (o opere sulla Svizzera) spesso inedite o pressoché irreperibili nella nostra lingua. Sfogliando l’elenco dei titoli già usciti si trovano libri di big germanofoni come Conrad Ferdinand Meyer, Jeremias Gotthelf, Robert Walser, oppure, venendo ai contemporanei, Hugo Loetscher. In più, volumi di autori di origine elvetica – anche in questo caso pezzi da novanta – poi fagocitati dalla storia della letteratura francese, come Madame De Staël, di cui è uscito “Dieci anni di esilio”, o Benjamin Constant, di cui sono in preparazione le “Lettere d’amore”. Eppure, nonostante l’interesse del catalogo e l’opera prestata da prefatori conosciuti e conosciutissimi (Claudio Magris, Italo Alighiero Chiusano, Giuseppe Scaraffia, Dacia Maraini o Benedetta Craveri), i volumi di Armando Dadò sono di difficile reperibilità al di qua dal confine. Complice, probabilmente, una distribuzione non all’altezza.