
Taglio ai burocrati sennò sarà il botto

12 Giugno 2012
In questa Italia che muore di tassazione, dove cresce il numero degli imprenditori che emigrano, non può che scandalizzare l’enormità dei costi rappresentanti dai ministeri (spendono un miliardo al giorno) e, nel suo insieme, dalla spesa pubblica. Mentre da un lato mancano circa tre miliardi e mezzo di entrate erariali previste per il primo trimestre 2012, al tempo stesso lo Stato – incapace di correggersi – non riesce a contenere le uscite.
La questione cruciale di questa nostra economia alla deriva è in quel conglomerato di apparati burocratici, centri di spesa, enti parastatali e agenzie di vario genere che gravano come macigni sulla parte produttiva del Paese. La struttura parassitaria e autoreferenziale della funzione pubblica sta ormai togliendo le ultime energie a chi finora ha finanziato con imposte sempre più onerose l’intera baracca. Ma il rapporto tra quanti pagano e quanti ricevono è troppo sbilanciato a favore dei secondi: e di conseguenza se non si cambia registro alla svelta e in termini radicali il collasso è inevitabile.
Mentre in tutti questi anni si sono difesi gli interessi e i privilegi dei lavoratori statali, ben organizzati sindacalmente, è giunto il momento di invertire la rotta. D’altra parte i funzionari pubblici devono capire che se le imprese chiudono e i loro dipendenti perdono il posto, viene meno chi sta finanziando il loro stesso stipendio.
C’è dunque bisogno di privatizzare in tempi stretti i colossi del parastato: dalle ferrovie alle poste, dall’energia alle banche, dagli immobili alla Rai. Ma poi bisogna intervenire con decisione al fine di ridurre il numero degli impiegati statali e contenere i loro stipendi. Ora che la Grecia è allo stremo e che anche la Spagna ha dovuto far ricorso all’aiuto dell’Europa, è chiaro che ogni nostra prossima mossa sarà decisiva, poich´ la possibilità di riuscire in extremis a evitare il disastro è correlata alla speranza che il governo incida su tali centri di spesa.
Le cose sarebbero state più semplici se Mario Monti avesse sfruttato al meglio i primi 100 giorni: quando l’Italia era sull’orlo del baratro e nessuno (neppure la Cgil) era in condizione di opporsi alle scelte più impopolari. Ma se pure quell’occasione è stata sprecata, oggi è indispensabile intervenire con forza: abbattendo lo stock del debito con le dismissioni e agendo con analoga determinazione sulle uscite.
Se questo non succederà tutti gli investitori – quelli che taluni chiamano «gli speculatori» – finiranno per scommettere contro l’Italia e lo spread volerà alle stelle. A quel punto avremo enormi problemi di tenuta dei conti e, di conseguenza, i conflitti sociali si moltiplicheranno. È indispensabile avere ora il coraggio di essere impopolari, prima di essere costretti a diventarlo dall’assenza di alternative.
Si può e si deve certamente iniziare da quello che più scandalizza: da quella massa di attività che producono ben pochi benefici e che sono più utili ai funzionari statali che alla società nel suo insieme. Gli sprechi esistono e vanno cancellati. Questo però non basta, perch´ ben più che la «patologia» è lo stesso funzionamento ordinario del nostro sistema, figlio di logiche stataliste, a negare all’economia la possibilità di sopravvivere ed espandersi. In questo senso dovremmo davvero preoccuparci di deregolamentare – e penso a settori come l’ambiente e l’edilizia – per alleggerire gli oneri burocratici e, al contempo, ridurre il numero di funzionari pubblici.
Chiedere meno regole non significa essere estremisti o radicali, perch´ persino un Paese assai statalista quale la Germania ha molte meno leggi di quelle che abbiamo noi e, di conseguenza, un numero di funzionari decisamente inferiore. Dobbiamo insomma comprendere come la cancellazione di molti regolamenti inutili e/o dannosi potrebbe permettere di ridimensionare lo stesso esercito degli impiegati di Stato. Oggi più che mai, è opportuna una vera deregulation, tale da aprire la strada a quanti vogliono lavorare e capace di favorire, nel tempo, una significativa riduzione dei dipendenti pubblici.
Tratto da Il Giornale