“Impegno 2014”, il realismo di Letta sulla strada delle riforme
11 Dicembre 2013
"Realismo". E’ questa la parola chiave nel discorso sulla fiducia chiesta da Enrico Letta al Parlamento. Realismo perchè il premier non poteva non tenere conto delle novità emerse nelle ultime settimane: l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza che sostiene il Governo, la nascita del Nuovo Centrodestra di Alfano, la vittoria di Matteo Renzi alle primarie del Partito Democratico. Così il Presidente del consiglio si rivolge a una maggioranza "meno larga nei numeri" ma "più coesa negli intenti", la stessa che ha votato la fiducia in Senato sulla legge di stabilità.
Occorre realismo sulla strada delle riforme. Forza Italia ha deciso di "non garantire il sostegno al percorso rafforzato di riforma costituzionale", afferma il premier, l’ha fatto, aggiungiamo noi, senza spiegare bene il perché di questa scelta anzi facendo l’occhiolino alle forze antisistema come M5S. Di questo Letta prende atto e chiede al Parlamento di arrivare a dei risultati concreti in tempi rapidi, lavorando sulla procedura del 138 e indicando "quattro obiettivi di cambiamento" per dare istituzioni più forti all’Italia: la riduzione del numero dei parlamentari, l’abolizione delle province, la fine del bicameralismo perfetto, la riforma del Titolo V della Costituzione.
Il percorso, aggiunge il premier, avverrà "a partire da una discussione nella maggioranza aperta poi a tutte le forze politiche", dunque un accordo tra le forze che sostengono il Governo sul quale cercare la eventuale convergenza delle opposizioni. Alle intemperanze renziane sui "saggi" ("basta con i tavoli, basta con i saggi"), Letta risponde definendo "utilissimo" il lavoro del Comitato e ringraziandone i membri per "la qualità e la dedizione" mostrate durante il loro operato. Poi l’avvertimento: "Chi proverà a far saltare il banco ne risponderà davanti ai cittadini".
In tema di legge elettorale, Letta evidenzia due aspetti. Il primo: la nuova legge elettorale dovrà evitare "un eccesso di frazionamento della rappresentanza, che ci condannerebbe all’ingovernabilità". Il premier ricorda i moniti del Presidente Napolitano e sottolinea che "la democrazia dell’alternanza è un obiettivo irrinunciabile e ci impone di orientarci verso meccanismi maggioritari". Il secondo aspetto: ridare ai cittadini la possibilità di scegliere chi li rappresenta, "finalmente sono state cancellate le liste bloccate, negazione di ogni criterio di merito e rappresentanza, inno alla cooptazione".
Dovrà essere una legge elettorale non "punitiva" e Governo, maggioranza – "innanzitutto" – e Parlamento lavoreranno "nelle prossime settimane per dare pronta attuazione al pronunciamento della Consulta e restituire ai cittadini lo scettro". Letta chiude la parte del suo discorso relativa alle riforme sottolineando di voler "mettere la parola fine sulla abolizione del finanziamento pubblico ai partiti", già approvata dal Governo e licenziata dalla Camera.
"Impegno 2014" è dunque una richiesta equilibrata fatta dal premier al principale sponsor della maggioranza, il segretario Renzi, di darsi il tempo necessario per creare un impianto costituzionale adeguato alla modifica della legge elettorale (e per ridurre i costi della politica). La legge elettorale va quindi incastrata in quegli obiettivi di riforma che se il Parlamento riuscirà a portare a casa permetteranno allo stesso Renzi di presentarsi al suo elettorato con degli importanti risultati tra le mani. L’alternativa è "far saltare il banco", ma allora sarebbe chiaro che più che alle riforme si pensa alle urne, che la legge elettorale è solo una scorciatoia per arrivare prima alle elezioni.
Renzi può sparigliare, può cercare maggioranze alternative a quella che sostiene l’esecutivo, ma a quel punto dovrà spiegare agli italiani perché ha deciso di fare sponda con chi duetta con i Forconi e le improbabili marce su Roma. Con chi, come ha spiegato il premier nell’incipit del suo discorso, in questo "tempo amaro", "tenta di immiserire" il Parlamento. Con parole "illegittime", con azioni "figlie di una cultura politica che mette all’indice i giornalisti, avalla la violenza, vuole fare macerie degli edifici stessi della democrazia rappresentativa, arriva a incitare all’insubordinazione le forze dell’ordine".