Movimento a 5 stelle: fenomenologia di una “bestia strana”
24 Maggio 2012
L’impressione è che il Popolo della Libertà sia afflitto da un fenomeno di rimozione. O forse desidererebbe ardentemente esserne colpito. Mai come in questi tempi sembra, infatti, che il mantra del centrodestra sia basato su due semplici parole: “Grillo no”. Certo, ripensando agli spettacoli di mille e mille anni fa, quando il comico genovese si scagliava dalle reti Rai contro l’144 o quando nel 2000 cominciava a profilarsi una sorta di manifesto politico ambiental-tecnicista, fa accapponare la pelle pensare che ora il Movimento di quello stesso Beppe Grillo potrebbe diventare il terzo o addirittura il secondo partito italiano. Va, in ogni caso ricordato che ben poche volte l’atteggiamento snobista ha aiutato una parte politica ad imporsi. Non l’ha fatto quando le Leghe andavano ad imporsi al Nord, sopravvivendo allo tsunami che si è portato via i partiti della Prima Repubblica. E, certo, non ha aiutato neppure il centrosinistra, che ha seguitato per quasi 20 anni a domandarsi, eccezion fatta per i brevi periodi d’interregno, come avesse fatto Silvio Berlusconi e il suo seguito, tanto inferiore dal punto di vista culturale, ad imporsi sistematicamente e con una tale preoccupante continuità.
Oggi sembra che lo scenario si sia radicalmente rovesciato. Ecco il centrodestra che boccheggia e guarda esterrefatto il mondo che cambia intorno ad esso: spera che di null’altro si tratti se non di una momentanea allucinazione collettiva. La realtà non è esattamente questa. Un’interpretazione a mio avviso attendibile di ciò che sta succedendo punta, assieme al periodo di crisi economica che amplifica il malcontento, su due concause politologiche. La prima riguarda il sistema partitico e la seconda il modello organizzativo di partito.
Anzitutto la prima. E’ innegabile che fino ad oggi si è imposto, specie dopo la tornata elettorale del 2008, un sistema tendenzialmente bipolare o a “multipartitismo moderato”. Questa tipologia è caratterizzata da un numero di partiti “che contano” non superiore a cinque e dalle presenza di governi di coalizione in un sistema bipolare e centripeto. Questo sistema, piaccia o non piaccia, si basava sulla figura di Silvio Berlusconi che fungeva da elemento unificante tanto per la maggioranza quanto per le opposizioni. Certo, questa non esauriva in essa l’intero sistema valoriale, ma, dal punto di vista dell’immaginario collettivo, era la più visibile linea di demarcazione tra le forze in campo. Venuto a mancare tale punto di riferimento, gli attori politici si sono trovati davanti al desolante vuoto pneumatico che covava dietro questo comodo paravento. Sono venuti alla luce incoerenze, compromessi, carenze nell’elaborazione culturale, sproporzioni nei rapporti di forza e persino la luminosa mancanza di un patrimonio simbolico condiviso. Silvio Berlusconi, era una sorta di collante che suppliva ormai a troppe mancanze. Questo sistema politico, trovandosene orfano, è apparso in tutta la sua allarmante nudità.
Venendo alla seconda causa va ricordato brevemente che un partito, dal punto di vista organizzativo, può avere diversi livelli di istituzionalizzazione. Un’istituzionalizzazione alta corrisponde ad un più strutturato sistema gerarchico, alla presenza di una burocrazia di partito, alla capacità dell’apparato centrale di pesare sulle strutture periferiche e sulle associazioni intermedie. Un partito ad alta istituzionalizzazione si ha solitamente quando c’è un alto livello di coesione delle classi dirigenti del partito. Un basso livello d’istituzionalizzazione si ha quando vi è uno scarso livello di coesione tra chi comanda o nel caso in cui il partito sia di tipo carismatico. Oggi, mentre tutti gli altri partiti sono rimasti con un assetto organizzativo coerente rispetto alle loro classi dominanti, il Pdl, che fino a ieri era il più grande partito italiano, si trova a dover gestire una transizione che il Segretario incaricato non può guidare in modo ordinato, in quanto la struttura è totalmente liquida. D’altra parte la fedeltà suppliva sia agli organismi decisionali sia ad una gerarchia diversa dall’unica riconosciuta: quella tra il leader e i suoi seguaci,
Questi due elementi non esauriscono certamente tutti i fattori che determinano l’attuale condizione d’instabilità ed un cambio che rischia di essere epocale quasi quanto, o forse più, di quello che interessò il nostro paese nel 1992-93. Spiegano, tuttavia, perché dal punto di vista strettamente partitico le “macchine” che funzionavano così bene per governare la cosiddetta Seconda Repubblica, oggi sono come zattere alla deriva che continuano a perdere pezzi lungo il cammino. Vanno poi aggiunti, come già accennato, una pluralità di fattori: la crisi economica internazionale, un alto livello di corruzione, l’inefficienza della pubblica amministrazione, una ripartizione iniqua del sistema di spesa, l’enormità e la severità del prelievo fiscale, l’immagine precaria della vita, l’incremento della disoccupazione. Tutto ciò crea un malcontento diffuso che non riesce più ad essere mediato dai partiti, che hanno cessato di ricoprire il loro ruolo di “cinghia di trasmissione” tra le istanze della società e Istituzioni.
In questo vero e proprio vuoto di potere si potevano inserire naturalmente nuovi protagonisti. Alcuni, come il Movimento a 5 stelle, hanno già fatto la loro comparsa. Altri debbono essere ancora individuati. Il paragone tra Beppe Grillo e Umberto Bossi è senza dubbio improprio e ancor più lo è con Silvio Berlusconi. Deve essere tuttavia chiaro che il M5s, in questo contesto, ha una sua indubitabile dignità e rappresenta un esperimento politico d’incontestabile interesse. Molti ne mettono in luce le debolezze, ma l’errore più grave che si potrebbe commettere è continuare a sottolineare i deficit senza prendere in esame anche i punti di forza.
Il Movimento di Grillo è una “bestia strana” a livello partitico. Anzitutto rappresenta ancora un movimento allo stato nascente ed è per questo estremamente fluido. E’ interessante notare come alcuni tentativi d’istituzionalizzazione vi siano stati da parte di alcuni componenti, ma che essi siano stati immediatamente stroncati dal leader (si veda la vicenda dell’espulsione di Valentino Tavolazzi). Questo non fa altro che ribadire l’immagine di un partito ancora fondamentalmente carismatico, che ha interessanti livelli di democrazia partecipativa online a livello locale ma che, sul piano nazionale, ha come elemento unificante e come decisore di ultima istanza lo stesso Grillo. Quest’ultimo, ideatore del Movimento, è un vero leader carismatico: ha una capacità istrionica e di trascinamento tale da riuscire a mobilitare gli aderenti, raccogliere consensi e imporsi sul gruppo, per quanto si tratti certamente di una figura di leader assai diversa da quella del passato.
La stesa piattaforma programmatica viene, all’interno del partito di Grillo, codefinita sui due livelli. Fermi restando alcuni capisaldi, peraltro enucleati da qualsiasi filo conduttore di natura ideologica o ideale, gli impegni vengono determinati dai singoli movimenti a livello locale, che hanno così modo di individuare soluzioni specifiche per ciascun territorio. E’ pertanto altamente improprio continuare a ripetere che il Movimento a 5 stelle ha caratteristiche solo di protesta: accanto a questa, infatti, unisce anche una proposta che, tuttavia, è in parte non organica e insindacabile (e se un possibile candidato concordasse su tutto tranne che sulla contrarietà agli inceneritori?) e in parte strettamente locale. Proprio per ciò che concerne la differenza tra i due livelli territoriali, che ha portato alcuni a definire quello di Grillo come un “partito in franchising”, potrebbe essere interessante o addirittura divertente studiare, mutatis mutandis, alcune analogie che ha il Movimento a 5 stelle con la prima Democrazia Cristiana, nata con un’operazione federativa tra la germinazione spontanea di diversi centri di aggregazione politici, sorti attorno all’associazionismo cattolico.
Un merito indiscutibile è quello che viene giustamente sottolineato essere il punto di forza del movimento a 5 stelle: la capacità di sfruttare la rete. Attraverso la piattaforma dei Meetup si sono sviluppati dei gruppi territoriali che, quantomeno a livello di partito, assomigliano da vicino alla democrazia diretta e che sono paragonabili, al di fuori del contesto virtuale, all’attività svolta in alcune sezioni di partito in determinati periodi storici. L’elemento di sviluppo rispetto a quelle esperienze è, tuttavia, il fatto che la rete consente di azzerare i limiti fisici, oltre al fatto che i gruppi sono completamente aperti, non essendo necessaria alcuna militanza o iscrizione al partito.
La differenza rispetto ad altri partiti, che pure molto si sono impegnati per una più pregnante presenza online, come il Popolo della Libertà che ha recentemente inaugurato la sua Political Digital Academy, è proprio la partecipazione. Mentre negli altri partiti l’impegno online è limitato alla comunicazione o, al massimo, alla mobilitazione, alla socialiazzaione o al dialogo con l’elettorato, il Movimento 5 Stelle discute e delibera attraverso i propri network. L’assetto, altamente partecipativo, moltiplica esponenzialmente il coinvolgimento dell’elettore, spesso giovane e di un buon livello culturale, il quale partecipa alla formulazione delle decisioni politiche.
La rete significa quindi anche il superamento della politica calata dall’alto, specie se praticata da individui con un livello tecnico inferiore di chi queste decisioni è chiamato a subirle. Un modello che oggettivamente risulta assai attraente per le nuove generazioni e che consente livelli di mobilitazione e partecipazione finora ignorati. I concorrenti possono continuare a denigrare o possono adottare alcuni modelli vincenti adeguandoli alla loro struttura e alle loro necessità. Altrimenti si troveranno, tra qualche anno, a studiare sui libri di storia il nuovo cambiamento del sistema di comunicazione politica. Immediatamente dopo il capitolo dedicato a Silvio Berlusconi.