Tarkovskij usava la macchina da presa come un rabdomante con la sua bacchetta

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Tarkovskij usava la macchina da presa come un rabdomante con la sua bacchetta

01 Gennaio 2012

Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1986 il regista Andrej Tarkovskij morì esule e Neuilly, in Francia. La moglie Larissa rifiutò l’invito delle autorità sovietiche di allora a far rimpatriare il corpo del marito e piuttosto lo fece seppellire nel cimitero cristiano ortodosso di Sainte-Génèvieve-de-Bois, a Parigi. E’ utile ricordare come sia in particolare grazie ad “Andriusa”, il figlio del regista, all’editore Andrea Ulivi (Edizioni della Meridiana), entrambi a Firenze, e al fotografo Giovanni Chiaramonte, se in Italia la memoria del grande russo continua ad essere viva e foriera di iniziative in ambito editoriale e cinematografico. Nel 1985 Tarkovskij ottenne dall’Accademia delle Arti di Berlino una borsa di mille dollari al mese. Trasferitosi nella città divisa (“Un posto strano e sgradevole. Un nido devastato. Il muro è semplicemente mostruoso”, ebbe modo di scrivere in Martirologio, i suoi diari), Andrei conobbe il regista e scrittore Alexander Kluge. Quello che si propone qui per ricordare il russo nell’anniversario della sua morte è un estratto da A. Kluge, Chronik der Gefühle, un testo del 2004 nel quale il tedesco ricorda l’incontro. Dalla cronaca dell’Akasha, il libro che fa da traccia per il film, era opera di Rudolf Steiner (Editrice Antroposofica, Milano 2000) e raccoglieva una serie di articoli scritti tra il 1904 e il 1908. Il tema era l’evoluzione planetaria e lo sviluppo della coscienza umana. Nel testo di Steiner, Tarkovskij trovò interessante la ricerca di ciò che lega l’artista, inteso come “veggente”, alle forze misteriose della natura. Da quel libro emergeva bene un tratto fondamentale: il manifestarsi della steineriana “potenza elementare della forza vitale”, cui ci si può abbandonare, ma non in luoghi qualsiasi, piuttosto in ambienti specifici. In fondo, come posseduto da un’occulta potenza, Andrei percorse la terra che gli fu concesso calpestare usando la propria macchina da presa al pari di un rabdomante con la sua bacchetta.