Telecom ritrova una guida ma non una strada
04 Dicembre 2007
Si è conclusa la settimana scorsa, con la nomina di Gabriele Galateri e Franco Bernabè ai vertici di Telecom, una crisi che forse ha segnato un record mondiale per durata, complicazioni e asprezza: 4 presidenti in 15 mesi, duri attacchi del Governo che con la docile assistenza dell’Autorità di settore ha tentato un esproprio mascherato del principale asset aziendale (la rete fissa), ingresso dell’ex monopolista spagnolo che prende quasi il 10% (pagato con un premio del 50%), controllo devoluto a un consorzio di soci finanziari che hanno acquistato a un prezzo inferiore, 6 mesi di stallo tra gli azionisti prima di scegliere i due capi-azienda.
Le domande cruciali sono due: com’è potuto accadere un tale pasticcio? Come evolverà l’equilibrio tra il socio industriale che è entrato a caro prezzo (si presume perché ha un progetto ben chiaro) e i soci finanziari che ora tengono il comando ma certo mancano di una specifica vocazione settoriale e forse neppure hanno una strategia (se non quella di difendere posizioni acquisite)?
Il pasticcio dipende soprattutto dall’incrocio non virtuoso tra due storie diverse e lontane fra loro: le turbolenze nel sistema governato da Mediobanca che si rendono manifeste nel 2000-01 (Pirelli acquista Telecom poco dopo la scomparsa di Cuccia, in simultanea con la scalata di Edf e Fiat a Edison) e durano tuttora; i problemi strategici di Telecom alle prese da un lato con la difficoltà di gestire il debito accumulato dopo le scalate di Colaninno e Tronchetti (oggi sono 37 miliardi di euro) e dall’altro con le incertezze strategiche di un settore che vede prospettive di calo per i ricavi tradizionali, modelli di business prossimi a radicali modifiche e investimenti molto ingenti per attrezzarsi alle tecnologie di rete essenziali al mercato di domani.
Dopo il 2000 la presa di Mediobanca sul sistema di relazioni e di imprese che aveva guidato per mezzo secolo comincia a regredire: i riassetti bancari spesso la scavalcano; Fiat si disloca su traiettorie autonome; Maranghi è costretto a lasciare; il controllo dei rapporti finanziari si accentra su Fazio e i suoi principali alleati (Geronzi, le Fondazioni maggiori). Nell’estate 2005 Fazio però crolla innescando una serie di acquisti e aggregazioni che lasciano Mediobanca ai margini, mentre le grandi aziende per tradizione correlate o accentuano l’autonomia, come Fiat, o si indeboliscono come Pirelli dopo la perdita di Telecom, o sono già da tempo lontane, come Edison.
L’acquisto a premio (contenuto) delle azioni Telecom, la complicata definizione di un nucleo-guida di soci, l’estenuante negoziato per la scelta dei vertici appaiono, nell’insieme, tappe di una sequenza più ampia la cui posta è la creazione di un nuovo centro focale per il mondo legato a Mediobanca: lo testimoniano la turbolenza intorno a Rcs e Generali e l’improvviso attivismo finanziario di tanti soggetti (Zaleski, Rotelli, Palladio, DeAgostini, Caltagirone).
Tuttavia i complicati arzigogoli della finanza hanno tempi diversi dall’innovazione tecnologica e dall’evoluzione dei profili di consumo: l’industria delle telecomunicazioni è a una svolta radicale indotta dalle accelerazioni della rivoluzione digitale. I servizi si sviluppano a velocità crescente attraverso le piattaforme elaborate via Internet: la flessibilità e le prestazioni aumentano, i prezzi calano, nuovi soggetti (Google, Apple, Nokia) si affacciano con inediti schemi di pricing. Gli operatori di rete si trovano in una condizione scomoda: i servizi tradizionali (fonia, mobile) hanno prezzi che flettono fin quasi a zero, i servizi innovativi hanno o forte concorrenza (Internet mobile) o prospettive difficili da valutare (video su reti tlc) e comunque le reti ereditate dal passato chiedono non più semplici upgrading (Dsl) ma radicali innovazioni (Ngn) che assorbono grandi quantità di capitale (negli Stati Uniti At&t e Verizon sono in forte tensione finanziaria).
E’ uno scenario che premia come strategie vincenti economie di scala e dimensioni continentali: permettono di assorbire l’incertezza, distribuiscono meglio i rischi, facilitano la diffusione interna del know how innovante. La danza delle aggregazioni conoscerà nei prossimi mesi nuove figure: in prospettiva strategica Telefonica è destinata – salvo divieti della politica – a comandare il gioco e anzi quanto prima l’integrazione strategica sarà realizzata, tanto meglio sarà per la capacità competitiva del gruppo.
Su questo sfondo lo scorporo della rete (contro la volontà del proprietario) da tema di moda (più ieri che oggi) diventa un’ipotesi fuori registro: la competizione si allarga fuori dai confini degli operatori ormai noti; la Commissione, che ha guidato dal 1995 l’intero processo della liberalizzazione nelle tlc, riduce gli obblighi regolatori (i mercati sorvegliati scendono da 18 a 7); l’innovazione delle reti ha davanti a sé piste alternative (Verizon e At&t hanno opzioni antitetiche per lo sviluppo della banda larga) nel fisso come nel mobile e le scelte sono aleatorie, affidate a complicate equazioni di marketing che chiedono grande attenzione alle tendenze di consumo dei clienti finali: un eventuale gestore terzo con funzioni di garanzia rispetto ai vari operatori sarebbe un soggetto inadatto a decidere investimenti così sensibili al mercato.