Tenetevi forte, la vera bufala è la “post-verità”
08 Dicembre 2016
di Daniela Coli
Da quando l’Oxford Dictionary ha inserito il termine post-truth, insieme a Brexit, brexiteer, tra le parole dell’anno, la “post-verità” è diventata un mezzo per screditare Brexit e l’elezione di Donald Trump. La post-verità in realtà esisteva anche prima del web: Ronald Syme in The Roman Revolution ha descritto come, mettendo in giro bugie di ogni tipo, Ottaviano ottenne dal Senato il mandato per fare la guerra in Egitto contro Antonio e Cleopatra, per liberarsi così dell’ultimo rivale e prendersi Roma.
La post-verità è una notizia falsa o una notizia non esatta che veicolata dal web avrebbe, secondo alcuni pasionari anti-brexit e anti-Trump, convinto masse di rozzi e incolti abitanti delle zone rurali del Regno Unito a votare Brexit, come degli Stati Uniti a votare Trump. Questa strategia del popolo bue, viene usata anche in Italia contro la vittoria del NO al referendum: i radical chic considerano Brexit, Trump, il NO del 4 dicembre il risultato del voto dei buzziconi. Invece Niall Ferguson, storico dell’impero britannico, del capitalismo e della globalizzazione, una star di Oxford e Harvard, il 6 dicembre ha dichiarato di avere sbagliato a non sostenere Brexit e a non avere passato più tempo ad ascoltare la gente nei pub.
Parlando al Milken Institute a Londra sul futuro dell’Europa – come riportano il Daily Mail e Breitbart del 7 dicembre – Ferguson ha dichiarato di avere sbagliato a non sostenere subito Brexit, perché l’Unione Europa è stato il disastro che aveva previsto fin dal 1999. E’ stata un disastro soprattutto per l’Europa Meridionale, visto che l’euro ha funzionato solo per la Germania e l’Europa del Nord. Catastrofica è stata anche la politica di sicurezza europea per l’Africa e il Medio Oriente, come quella sull’immigrazione, e la Ue non ha capito niente dell’Islam radicale, perciò è del tutto giustificata la rivolta della Brexit.
L’Europa in grave crisi demografica, con un invecchiamento impressionante della popolazione per il quale si prevedono costi sempre più alti per il welfare, con un’immigrazione incontrollata, e comunque non in grado, anche se integrata, di essere classe dirigente, è sull’orlo dell’abisso. Già nel 2015 Ferguson aveva scritto come l’Europa, afflitta da una lenta crescita, dalla crisi demografica, era destinata al fallimento. Sul Wall Street Journal del 19 novembre 2011, lo storico aveva tracciato un quadro a tinte fosche dell’Unione Europea, con gli inglesi felici in Britannia e italiani e greci a fare da camerieri e giardinieri ai tedeschi in un nuovo Sacro Romano Impero.
“I media − ha detto Ferguson − hanno preso Trump alla lettera, ma non seriamente. I suoi elettori lo hanno preso sul serio, ma non alla lettera”. Trump, il nuovo Roosevelt secondo Ferguson, ha infatti stracciato subito il TTP, ha telefonato al presidente di Taiwan per fare capire ai cinesi che intende ridimensionare i rapporti sino-americani, ha pure invitato Apple a tornare a produrre negli States: per chi dà lavoro agli americani ci saranno sgravi fiscali, mentre le imprese americane all’estero avranno dazi del 35% per le merci in America. Ferguson sostiene quindi la politica di Trump per riportare il lavoro in America, e la sua politica estera di alleanza con Putin in Siria e Ucraina.
E’ cominciata un’età nuova, forse avremmo bisogno anche noi di un Niall Ferguson, ma non se ne vede neppure l’ombra.