Teniamo alta l’attenzione sul problema delle carceri, uscire dal guado si può. Ecco la strategia

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Teniamo alta l’attenzione sul problema delle carceri, uscire dal guado si può. Ecco la strategia

Teniamo alta l’attenzione sul problema delle carceri, uscire dal guado si può. Ecco la strategia

12 Giugno 2020

Parlare di carcere in Italia non è cosa agevole. Esattamente dieci anni fa, l’Occidentale poneva tale questione all’attenzione di istituzioni e decisori pubblici, con l’obiettivo primario di eliminare storture e inefficienze del nostro sistema giudiziario. Le proposte avanzate erano diverse e tutte degne di essere prese in considerazione, ma – ci teniamo a dirlo – in pochi si sono presi la briga di leggerle e trasformarle in realtà, con il risultato che oggi il sistema carcerario è al collasso.

Durante i mesi di lockdown, sempre da queste colonne abbiamo raccontato ciò che accadeva negli istituti di pena italiani, narrando con dovizia di particolari la situazione in cui versavano i detenuti. Nel periodo di maggior diffusione del virus infatti, a causa delle misure restrittive imposte dal governo e nello specifico dal ministro della Giustizia, si sono verificati in diversi istituti carcerari episodi di violenza. Si è trattato di casi in cui i detenuti sono ricorsi all’uso della forza per protestare contro il divieto di vedere i propri familiari, misura questa imposta per limitare i contagi da Covid-19.

Non è tutto. Oltre a tali vicende, si è registrato un aumento del numero dei sucidi: alcuni detenuti hanno abusato di farmaci o psicofarmaci fino a togliersi la vita. Nella prefazione al libro di Annalisa Chirico, “Condannati preventivi”, Vittorio Feltri ha scritto che “il più alto tasso di suicidi non si registra fra gli ammalati terminali, ma fra i detenuti, specialmente quelli in custodia cautelare. Il dato dovrebbe insegnare qualcosa, invece passa inosservato, perché un uomo in galera non è più un uomo, come nei campi di sterminio di triste e tragica memoria”. La diffusione del Coronavirus però ha fatto sì che detenuti e detenute ricorressero alla solidarietà per aiutarsi gli uni con gli altri, dando una mano anche ai più bisognosi. I nostri lettori ricorderanno il racconto dell’episodio dei detenuti di Bollate che, in piena pandemia, hanno raccolto generi di prima necessità da donare al Banco Alimentare.

Insomma, il carcere non è solo distruzione e violenza, ma se visto con gli occhi di chi sa apprezzare anche i piccoli gesti, può diventare un serbatoio di speranza e civiltà. Ultimamente di carcere ha parlato anche l’associazione Azienda Italia che, nel proprio piano strategico “Italia 2050”, prevede un punto specifico sul tema. In buona sostanza, per i cofondatori la pena detentiva non deve mai generare una perdita di dignità nei confronti dell’individuo che la subisce; per evitare che questo si verifichi, occorre trasformare le carceri in istituti in grado di produrre lavoro e rieducare i soggetti reclusi. “Come associazione – ha precisato al nostro giornale Andrea Minazzi, vice presidente e segretario di Azienda Italia – tocchiamo tutto ciò che è socioeconomia e uno dei grandi problemi oggi sono le carceri; noi dobbiamo intervenire e restituire dignità alle persone che non possono essere rinchiuse in dei buchi come bestie. Quando queste persone scontano la pena, nessuno pensa al reinserimento sociale ma si pensa a svuotare le carceri. Oggi il carcere ha un costo enorme senza garantire dignità alle persone che vi sono recluse”.

E se Azienda Italia mira anche al coinvolgimento di soggetti privati per far sì che dal carcere possano nascere opportunità di lavoro per i detenuti, non va dimenticato l’apporto dei volontari all’interno degli istituti detentivi. Il detenuto, se da un lato è una persona che ha sbagliato e per questo sta scontando una pena, dall’altro è un individuo che ha bisogno di ascolto, solidarietà e accoglienza. Ben vengano quindi proposte come quelle avanzate da Azienda Italia: solamente cooperando tutti insieme potremo delineare un futuro migliore. Anche all’interno delle carceri italiane.