Teoria e pratica del fund-raising secondo i guru della “Right Nation”

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Teoria e pratica del fund-raising secondo i guru della “Right Nation”

01 Aprile 2010

Sono seduto nell’auditorium del prestigioso Wellington College, una oasi di orgoglio inglese nel Berkshire, a Crowthorne. Piove, fa un freddo cane, il campus di edifici goticheggianti in mattone rosso è sublime. Il pub si chiama Napoleon’s Retreat. Qui non si fa fatica a capire come, in questa terra, possano nascere il G.K.Chesterton della “merry England”, il J.R.R. Tolkien della Contea, il C.S. Lewis di Narnia o la J.K. Rowling di Hogwarts.

Al Wellington si sta svolgendo la terza scuola internazionale di fund-raising organizzata da The Leadership Institute di Arlington, in Virginia. Che ci fanno gli americani da questa parte dell’Atlantico? Insegnano le tecniche che li hanno resi capaci di risultati politici altrove inimmaginabili, prima fra tutte il modo di fare quei soldi, quei molti soldi che sono indispensabili per qualsiasi intrapresa civile. Ma come: quelli scovano la gallina dalle uova d’oro e subito si mettono a gridare ai quattro venti dove l’avicolo fatato si nasconde, e per di più a gratis, visto che la faculty di gran spolvero che sta educando delegati e rappresentanti di organizzazioni e advocacy group conservatori di mezzo mondo (qui ci sono cileni e nigeriani, boliviani e maltesi, irlandesi e spagnoli) dà via il proprio sapere senza ricevere in cambio un quattrino di cachet? Sì, ma non solo perché la gelosia abita altrove: accade soprattutto perché la storia ha insegnato agli americani che se si educa la gente a dare a te essa continuerà a dare anche a me, che il coinvolgimento in prima persona è virtuosamente contagioso e soprattutto che più si è a fare bene le cose in cui io tengo meglio è per me e per tutti. La classica, bella storia dell’“egoismo illuminato”.

Prendiamo per esempio l’uomo che in tre decenni ha raccolto più di un miliardo di dollari per i propri clienti non-profit. Si chiama Bruce Eberle, è una star del ramo ed è un luterano granitico. Insegna che il fund-raising fu inventato da san Paolo di Tarso nella seconda Lettera ai Corinzi, là dove il primo teologo del cristianesimo chiede denari alla facoltosa comunità greca in favore dei fratelli nella fede che soffrono a  Gerusalemme. È una impresa onorevole quella di rastrellare fondi una causa giusta, e il come farlo può essere studiato, applicato e insegnato come una scienza.

Morton C. Blackwell lo sa più che bene: per questo nel 1979 creò il Leadership Institute. Veniva da lontano, Blackwell. Fu il più giovane delegato eletto alla Convention repubblicana del 1964, fu tra i leader dei giovani americani per Barry M. Goldwater, il senatore dell’Arizona che in quell’anno si candidò a battere le Sinistre e a spostare i Repubblicani a destra, che perse, ma dal cui entourage vennero gettate le basi del movimento conservatore grassroots proprio grazie a personaggi come Blackwell. Fu la “sconfitta vittoriosa” di Goldwater che ammaestrò il giovane Blackwell a riconoscere l’errore commesso da gran parte della Destra: pensare che l’avere culturalmente ragione sia sufficiente per vincere politicamente.

Alla scuola di Richard A. Viguerie, il guru del direct-mail, Blackwell corresse il tiro. Dal 1980 al 1983 Ronald W. Reagan (1911-2004) lo volle come “ufficiale di collegamento” tra l’Amministrazione e la galassia conservatrice, e da allora è stato un successo dopo l’altro. Blackwell è tranchant: essere conservatori significa volere un governo temperato, favorire la libertà d’intrapresa, sostenere la necessità di una forte difesa nazionale e difendere i valori tradizionali, punto. 54 impiegati, 32 tipi di scuole di formazione offerte all’America e al mondo, in 31 anni il Leadership ha addestrato più di 82mila persona nel globo. Ci si chiede come sia possibile la “Right Nation”, come gli USA riescano comunque sempre a far inginocchiare la politica alla realtà e non a tradire la seconda asservendola alla prima, come possa nascere fenomeni quali la “Destra cristiana” ieri e i “Tea Party” oggi, spontanei ma frutto di seminagione intelligente.

La risposta sta dando bella prova di sé oggi a Crowthorne: professionalità massima al servizio di un pensiero così forte da resistere a qualsiasi diluvio. «Lo dovete alla vostra filosofia», dice Blackwell: dovete a essa la fatica di farla vincere, bene, sempre di più. Se lo merita perché è buona: vogliamo deprimerla con il pressapochismo?

Marco Respinti è il Direttore del Centro Studi Russell Kirk