Terminata la sbornia devoluzionista, non ci resta che un sano centralismo

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Terminata la sbornia devoluzionista, non ci resta che un sano centralismo

08 Ottobre 2012

Sull’onda degli ultimi scandali si prospetta un intervento governativo sulle regioni. Non solo una doverosa sforbiciata al numero dei consiglieri regionali in tutta Italia, ma anche una riduzione dei poteri delegati e, correlativamente, un maggior controllo del potere centrale sulla gestione finanziaria e amministrativa alle regioni. Quando ho appreso questa notizia la prima reazione è stata di sollievo: meglio tardi che mai; soprattutto se gli interventi previsti marcheranno una duratura inversione di tendenza rispetto alla deriva devoluzionista che ha funestato la politica italiana degli ultimi lustri. Il fatto è che il recente scandalo della regione Lazio non è solo il frutto di un malcostume diffuso, ma si ricollega strettamente a scelte politiche errate operate nel passato. Per intenderlo è forse opportuno ripercorrere brevemente alcune vicende generali, in modo da consentire di cogliere il senso anche degli ultimi accadimenti.

Al momento della fine della prima repubblica, all’incirca un ventennio addietro, l’Italia, per riassestare il proprio sistema politico e migliorare la propria performance economica, aveva bisogno anzitutto di due cose. In primo luogo un rafforzamento dell’esecutivo che consentisse di superare in modo definitivo l’assemblearismo partitocratico fino ad allora imperante. A tal fine era urgente una riscrittura in senso presidenzialistico o di premierato forte della forma di governo. Su di un altro versante occorreva mettere mano ad alcune riforme strutturali, in grado di ridare fiato all’economia. Sostanzialmente, all’epoca sarebbero state sufficienti una riforma delle pensioni (aumento graduale dell’età pensionabile, abolizione delle pensioni di anzianità) e un interventiosul mercato del lavoro (articolo 18, costo del lavoro). Le due cose erano strettamente connesse. Un governo legittimato dal voto popolare e dotato dei necessari poteri avrebbe potuto promuovere in tempi ragionevoli le riforme necessarie. A sua volta il miglioramento dei conti pubblici (ottenuto senza agire sulla leva fiscale) e delle condizioni in cui far agire gli attori economici avrebbe legittimato ulteriormente le modifiche istituzionali. Un simile programma si adattava perfettamente alle forze politiche che si richiamano al centro-destra e che hanno spesso avuto la meglio nelle consultazioni elettorali.

Le cose, come sappiamo, sono andate in modo ben diverso. Dal 1994 ad oggi c’è stata sì una prevalenza del centro-destra, ma l’agenda politica all’ordine del giorno è stata decisamente differente. I temi, e anche i toni, della discussione pubblica sono stati dettati dalla Lega. Agendo come una testuggine, piccola ma compatta e determinata, la Lega ha imposto le sue parole d’ordine all’intero centro-destra facendo scolorire ben presto le promesse di una rivoluzione liberale in economia e la speranza di una riequilibrio presidenzialista della forma di governo. Si è imposta, invece, una sorta di vulgata autonomista, devoluzionista o federalista, per cui la denuncia del centralismo romano è stata a lungo la tarte à la creme del dibattito politico.

Sotto questo profilo le cose sono andate anche peggio sull’altro versante dello schieramento politico. Convinti di erodere la base di consenso del partito di Bossi, che in una certa fase pareva minacciare anche le roccaforti delle regioni rosse, il governo di centro-sinistra, sullo scorcio della tredicesima legislatura, ha votato una riforma costituzionale del titolo V della Costituzione che ha elargito ulteriori poteri alle regioni, diminuendo le possibilità di controllo governativo.

Con la crisi economica i nodi sono venuti al pettine. Quando il governo tecnico ha provato a far quadrare i conti ci si è accorti che il grande buco della finanza pubblica non dipendeva tanto da un centro oppressivo (dove anzi i tagli lineari avevano sortito un qualche effetto), ma dalle spese irresponsabili e incontrollate della periferia.

Il futuro politico del nostro paese appare tutt’altro che roseo; pure, se si dovesse finalmente mettere un freno al dilagare dei poteri periferici irresponsabili potremmo essere un po’ meno pessimisti sul nostro avvenire.