Terrore a San Pietroburgo, Putin non esclude pista terrorismo

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Terrore a San Pietroburgo, Putin non esclude pista terrorismo

03 Aprile 2017

Terrore nel sottosuolo di San Pietroburgo, in Russia. La stampa russa riferisce che una o due esplosioni hanno colpito questa mattina la metropolitana nel centro della città, uccidendo circa dieci persone e ferendone a decine. Le cause dell’esplosione non sono ancora note e si seguono tutte le piste, sia tecniche che terroristiche: lo ha detto il presidente russo Putin, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa “Rbk”. Alle 15:40 russe (14:40 italiane) tutte le stazioni della metropolitana a San Pietroburgo sono state chiuse. 

Secondo le prime ricostruzioni, due convogli della metropolitana sarebbero stati sventrati da altrettante esplosioni all’altezza di due diverse stazioni, la fermata metro Sennaya Ploshchad e la stazione Sadovaja. Le prime immagini diffuse sui social poco dopo l’ora di pranzo danno una idea dell’accaduto: persone ferite e sanguinanti stese sulle banchine, soccorse dai servizi di emergenza, passeggeri in fuga in mezzo a nuvole di fumo, ambulanze che si accalcano all’esterno. L’intera tratta della metropolitana è stata chiusa e gli uomini delle forze dell’ordine sono già al lavoro per chiarire le cause delle due esplosioni. Per i prossimi tre giorni è stato dichiarato il lutto cittadino. 

Putin, presente anche a lui a San Pietroburgo per presenziare ad un convegno sui media, si è subito si è espresso sulle esplosioni non escludendo l’ipotesi terrorismo: “Non è chiaro ancora quali siano le cause, le stiamo vagliando tutte, incluso il terrorismo. Voglio esprimere il mio più sincero rammarico ai parenti delle vittime. Ho già parlato con i capi dei servizi, il direttore del Fsb. I corpi di polizia e servizi speciali sono al lavoro, faranno di tutto al fine di individuare le cause dell’incidente, per dare una valutazione completa di quello che è successo” ha dichiarato il presidente russo che nel pomeriggio avrebbe dovuto incontrare il il presidente bielorusso Lukašenko.

La Russia è da tempo nel mirino di ribelli ceceni che hanno più volte minacciato attacchi terroristici. E in passato attacchi con la loro firma non sono certo mancanti. Come quello l’attenato suicida del gennaio 2011 nei pressi dell’area arrivi internazionali nell’aeroporto di Mosca-Domededovo che provocò 37 morti con la rivendicazione del capo ceceno integralista Doku Umarov. Nel 2010, invece, almeno 38 persone persero la vita quando due donne kamikaze si fecero esplodere nella metropolitana di Mosca. E nel 2004 oltre 330 persone, metà delle quali bambini, morirono nel massacro di Beslan. Nel 2002 la polizia fece irruzione in un teatro di Mosca per porre fine a una presa di ostaggi e il bilancio finale fu di 120 ostaggi uccisi. Ma non è detto che la pista debba essere per forza di cose quella cecena. La Russia è stata più volte vittima di attentati di natura diversa. Dall’autobomba del settembre 2010 esplosa a Vladikavkaz, nell’Ossezia del Nord, uccidendo diciassette persone, all’attentato del 28 agosto 2012 quando una donna kamikaze si fece saltare in aria in Daghestan causando la morte di 7 persone, tra cui uno sceicco moderato. Gli otto morti delle due autobombe in Daghestan, a Makhatchkala, del maggio 2013 e le esplosioni kamikaze a Volgograd, nell’ottobre e nel dicembre 2013, completano il quadro della scia di sangue russa.

Insomma, in un momento in cui in tutti i Paesi occidentali ci sono forze che spingono contro un appeasement con Putin, come ventilato dal presidente americano Trump, ci si può chiedere chi e perché, dall’esterno o dall’interno, potrebbe avere interesse a destabilizzare la Russia.