“Terrorismo e narcotraffico si incontrano nel Venezuela di Chavez”

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“Terrorismo e narcotraffico si incontrano nel Venezuela di Chavez”

15 Ottobre 2011

Roger Noriega ha lavorato al Dipartimento di Stato come assistant secretary of state for Western Hemisphere affairs ed è stato Ambasciatore presso l’Organizzazione degli Stati Americani. Per passione e per lavoro, Noriega ha una visione chiara di quel che succede in centro e nord america. Oggi guida Vision Americas ed è visiting fellow all’American Enterprise Institut, di cui coordina il programma Latin America. Con lui abbiamo parlato di narco traffico e delle prospettive di cooperazione tra Stati Uniti e Messico nella lotta ai cartelli della droga. "L’America ha bisogno del Messico e il Messico degli Stati Uniti. La battaglia è comune", spiega a l’Occidentale Noriega. Ma avverte: "Il Messico deve creare al suo interno tutto il consenso possibile. Questa non è una battaglia del presidente Calderon. E’ una battaglia nazionale".

In suo recente editoriale su Fox News, lei ha dato conto di come in Messico, l’ex-presidente messicano, Vincente Fox, abbia suggerito di andare a una tregua con i cartelli della droga, viste le durissime perdite sopportate dai civili messicani nella guerra contro il narcotraffico. Lei ha imputato l’espansionismo dei narcos alla mancanza di adeguate risorse messe a disposizione dal governo statunitense per aiutare il governo messicano. Ci spieghi meglio cosa dovrebbe concretamente fare il governo americano per aiutare il messicani nella guerra al traffico di stupefacenti?

Dobbiamo accettare una responsabilità morale e aiutare i messicani il più possible. L’insaziabile domanda di droghe da parte statunitense è la causa del problema, e dobbiamo, da americani, accettare una responsabilità condivisa nella gestione delle immediate conseguenze di quel il Messico, i paesi del Centro America e altri paesi stanno facendo per fare fronte alla minaccia del narcotraffico. Su come aiutare i messicani, sta ai messicani dircelo. L’attuale governo messicano è molto più aperto alla cooperazione con gli Stati Uniti di quanto non lo siano stati altri in precedenza. Esistono, però, ancora dei limiti a ciò che la popolazione messicana può accettare, visti le preoccupazioni in materia di sovranità che durano da parecchio. Personalmente credo che dobbiamo rendere il nostro impegno morale e politico molto chiaro – tanto da parte dei politici di destra che di sinistra – che si accetti la nostra responsabilità e che si riconosca che il Messico è un alleato indispensabile. Questo sostegno morale è essenziale affinché i messicani possano sostenere questa lotta. In termini di tangibile sostegno, l’assistenza statunitense deve essere diretta a fare in modo che il Messico sviluppi le proprie capacità di pianificazione e addestramento, cosicché possa pianificare ed eseguire una propria strategia autonoma. Dobbiamo aiutarli a capire come operano i cartelli, dove tengono i propri soldi, come comunicano, e via dicendo. Solo così i messicani potranno sviluppare una propria strategia per aggredire il problema. In più, dovremmo mettere l’accento sulla condivisione di informazioni di intelligence e sul coordinamento della azioni di polizia per perseguire singoli individui.

Durante i recenti dibattiti tra candidati Repubblicani, molte domande si sono concentrate sulle posizioni dei candidati alla nomination del GOP  sui temi dell’immigrazione. Sono emerse posizioni molto diverse, ma c’è molto consenso per la costruzione di una barriera sul confine tra Usa e Messico per impedire l’immigrazione clandestina. Una ‘politica’ del genere, che effetto potrebbe avere sulla guerra al narcotraffico? 

Mi dispiace molto che una retorica inopportuna e un modo semplicistico di pensare si stiano imponendo sulle questioni legate all’immigrazione. Ciò mina alla base la nostra capacità di accettare le nostre responsabilità nell’aiuto che dobbiamo prestare al Messico, nella lotta alla minaccia della droga. Non possiamo prima dare alle fiamme la casa del nostro vicino, e poi lamentarci sul fatto che le scintille si propaghino nel nostro cortile. Dobbiamo riuscire a trovare un via umana e pratica per gestire il fenomeno dell’immigrazione clandestina. Sono favorevole a che le nostre leggi vengano applicate ovviamente, ma nel far ciò dobbiamo adottare strategie intelligenti. Non possiamo aspettarci che i messicani facciano ciò che è giusto fare nella guerra al narcotraffico, mentre li rimproveriamo sull’immigrazione. Deve essere trovato un modo per assumere una gestione vigile e ponderata di queste questioni. Altrimenti, perderemo un alleato importante nella guerra contro i narcos.

Lei ha recentemente testimoniato di fronte al Subcommittee on Counterterrorism and Intelligence del Committee on Homeland Security (U.S. House of Representatives) sul ruolo di Hezbollah in America Latina. Lei ha messo in discussione l’assunto in base al quale il ‘partito di Dio’ libanese faccia solo ‘fundraising’ nella regione sudamericana. Qual è la strategia dell’Iran e di Hezbollah nel continente?

La maggior parte delle minacce di Iran e Hezbollah è concentrata in Sud America – particolarmente in Venezuela. La buona notizia è che le autorità messicane sono perfettamente al corrente della minaccia terroristica e tendono a collaborare con noi, tanto quanto con gli altri paesi, nella gestione di questa minaccia. Tanto il Messico che gli Stati Uniti devono fare di più per investigare rispetto alle informazioni riguardanti la cooperazione tra il cartelli della droga e vari gruppi terroristici. Le dico di più: entrambi i paesi devono riconoscere che il legame tra la minaccia terroristica e il traffico di narcotici è il Venezuela. Nessun governo è disponibile a affrontare quel problema, e questo perché né gli Stati Uniti né il Messico vogliono entrare in collisione con quel bullo di Hugo Chavez.

Ovviamente la soluzione alla guerra alla droga verrà da politiche sagge ed efficaci messe in campo dal governo messicano. Eppure nella politica messicana, a oggi, esistono due visioni diverse: quella alla Vincente Fox – possibile tregua tra Messico e cartelli – e dall’altra la linea del presidente Felipe Calderon – continuare a combattere. Qual è la linea che prevarrà nel lungo periodo?

Quando Fox ha suggerito una tregua con i cartelli, devo riconoscere che mi sono afflitto da un po’ di disperazione. Immediatamente, da ogni lato dello spettro politico messicano, quella proposta politica si è scontrata con il rifiuto proveniente da tante parti, fino a essere stata isolata. Ho incontrato circa un anno fa tutta una serie di personalità politiche messicane di lungo corso, le quali mi hanno confermato che il Messico continuerà ad affrontare l’anarchia e violenza dei cartelli – benché spesso divergano tra di essi su quale sia la migliore tattica per sconfiggere il fenomeno. E’ impossibile negare che la morte di 35,000 persone nella lotta frontale contro le organizzazioni criminali del narcotraffico, non abbia lasciato delle cicatrici. Per tornare a ciò che dicevo prima: se i messicani si dovessero convincere di essere lasciati da soli di fronte alla minaccia e che le strategie adottate siano inefficaci, alla lunga non sosteranno la battaglia. Per questo i politici di entrambi i paesi devono lavorare insieme, per sviluppare una strategia integrata che prenda per le corna le cause fondanti del problema, non certo cercare di buttare giù il mostro con un stuzzicadenti. 

Senta ma lei crede che i cartelli del narcotraffico possano essere davvero sconfitti?

Ci sono quelli che credono che il proibizionismo sia la causa del problema. Che siano le politiche coercitive a causare il problema. L’alcol è legale nelle nostre società, e il costo indiretto e diretto sulla nostra qualità di vita, la produttività, la sicurezza dei nostri quartieri a causa dell’abuso di alcol è uno dei principali problemi del nostro tempo. Dunque, se il parametro diventa l’alcol, la legalizzazione è un approccio più che dubbio. Ma dobbiamo anche convincerci che per riportare un successo nella guerra al narcotraffico, è necessario attaccare ogni passaggio della catena della droga: produzione, transito, riciclaggio di denaro, distribuzione, educazione, cura dei tossico dipendenti, etc. Sia chiaro: è una cosa che si deve fare nelle generazioni. Il governo statunitense spende 10 miliardi di dollari all’anno per ridurre la domanda di droghe illegali. Ma spendiamo una frazione di quella somma per aiutare i paesi che sono chiamati a fare i conti con la produzione industriale in loco e il trasporto via nave di droghe illegali. Dobbiamo riuscire a fare meglio di così, se vogliamo sperare di avere qualche speranza di successo nella nostra strategia. Certamente dobbiamo riconoscere che non possiamo affrontare questo problema transnazionale da soli. Dobbiamo ringraziare tutti quei governi che sono disponibili a stare al nostro fianco nella lotta contro quel loro terribile problema.

Le faccio un’ultima domanda: sono sempre più frequenti le uccisioni di blogger anti-narcos in Messico. L’ultima scena macabra, sono i corpi di due blogger appesi, cadaveri, a un ponte di Nuevo Laredo, una cittadina in territorio messicano. Per il momento è una tragica sorte che pagano solo i messicani, ma presto anche ai giornalisti americani potrebbero essere oggetto di minacce di morte, se non proprio di attacchi del genere. Qual’è il ruolo del governo messicano per fare in modo che i giornalisti possano informare l’opinione pubblica?

Sono convinto che il presidente Calderon riconosca che media liberi sono essenziali nella lotta per lo stato di diritto – che è comunque il cuore di qualsiasi offensiva anti-narcos. Certamente se i giornalisti non sono messi in condizione di fare il proprio lavoro, è difficile che si possa costruire un consenso dentro la società messicana in questa lotta. La protezione dei giornalisti deve essere una priorità. Quando i giornalisti vengono attaccati, il governo messicano deve fare di tutto per portare i perpetratori di fronte a un giudice. Al centro della politica di Calderon c’è lo stato di diritto senza paura e senza favori. Si ricordi che in passato, alcuni amministratori pubblici messicani fecero delle ‘tregue’ con le organizzazioni criminali perché quest’ultime limitassero il livello di violenza in certe zone. Ma sia chiaro: è impossibile costruire una nazione moderna, dotata di istituzioni democratiche forti in un clima di anarchia e impunità. Spero solamente che i messicani si rendano contro che questa non è la ‘guerra di Calderon’, ma che è una battaglia nazionale. Senza un impegno da parte di tutto il Messico, la battaglia non sarà vinta.