Terrorismo: il tunisino arrestato a Roma reclutava adepti in carcere

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Terrorismo: il tunisino arrestato a Roma reclutava adepti in carcere

11 Gennaio 2017

Si chiama Saber Hmidi il tunisino di 34 anni arrestato nell’ambito dell’operazione anti-terrorismo “Black Flag”, condotta in tutto il Lazio dalla Digos di Roma e dalla polizia penitenziaria, perché considerato appartenente all’organizzazione terroristica Ansar al-Sharia, gruppo terroristico jihaidista attivo in Tunisia dal 2011. In particolare, l’uomo è accusato per attività di reclutamento di matrice terroristica data la sua “particolare capacità di indottrinamento dei compagni di detenzione”. L’uomo, infatti, si trovava già nel carcere romano di Rebibbia per altra causa.

In base alle indagini condotte dal Nic, il Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, in coordinamento con la Digos, Saber avrebbe manifestato atteggiamenti coerenti con l’ideologia dell’Isis mediante aggressioni intramurarie nonché il proposito di essere pronto a partecipare attivamente alla jihad nelle zone di combattimento.

“Una volta libero andrò in Siria a combattere con i fratelli musulmani”, avrebbe rivelato ai compagni di cella. “Vi taglio la testa se non mi accontentate” avrebbe urlato, invece, agli agenti della polizia penitenziaria. Così come non sono mancati altri atteggiamenti, a volte manifesti – come l’esultanza dopo i vari attentati terroristici – a volte criptici, che esprimevano chiari “sentimenti anti-occidentali”, come li hanno definiti gli investigatori, tipici degli affiliati ai gruppi terroristici di matrice islamica.  

L’indagine è scattata subito dopo l’arresto del tunisino dato che, durante la perquisizione domiciliare, la Digos di Roma ha rinvenuto una bandiera con la scritta: “Maometto è l’unico dio“, firmato Ansar Al-Sharia, oltre a numerosi supporti informatici, telefonia mobile e documenti d’identità (passaporti e patenti di guida intestati a stranieri) di sospetta illecita provenienza. Elementi investigativi che hanno dimostrato la pericolosità dell’uomo, ma anche la sua radicalizzazione violenta di matrice confessionale e una elevata capacità di indottrinamento ideologico.

Di qui, la sorveglianza speciale di atteggiamenti e comportamenti del tunisino nel carcere di Rebibbia che hanno effettivamente confermato quanto sospettato e hanno permesso di emettere l’ordinanza di custodia cautelare.

Resta dunque alta la guardia delle forze dell’ordine all’interno delle carceri per sventare possibili atti di proselitismo che “formino” i protagonisti di prossimi attentati. Nella speranza che la “profezia” del Capo della Polizia Gabrielli (“Prima o poi colpiranno anche noi”) non si realizzi.