Terrorismo minaccia le Olimpiadi, ma a Pechino temono più le rivolte popolari

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Terrorismo minaccia le Olimpiadi, ma a Pechino temono più le rivolte popolari

05 Agosto 2008

A pochi giorni dall’apertura ufficiale delle Olimpiadi di Pechino, in Cina incombe lo spettro del terrorismo. Lunedì mattina, la città di Kashgar, nella regione autonoma del Xinjiang, è stata teatro di uno dei più sanguinosi attentati terroristici registrati negli ultimi anni nell’ex Impero di Mezzo. La Xinhua racconta di due individui a bordo di un camion che hanno attaccato nei pressi di un comando di Polizia doganale alcuni agenti: 16 di loro sono morti e altrettanti sono rimasti feriti, dilaniati da due granate e da colpi di pugnale. L’agenzia di stampa ufficiale del regime descrive i due assalitori – poi arrestati – come appartenenti alla minoranza locale degli uighuri. Nessuna di queste notizie è stata però confermata da fonti giornalistiche indipendenti. 

Le autorità cinesi hanno immediatamente puntato il dito contro il Movimento islamico del Turkestan Orientale (Etim), un presunto gruppo islamista attivo nel Xinjiang (nord-ovest della Cina), abitato dagli uighuri, una minoranza di lingua turcofona e di fede musulmana. La comunità uighura comprende circa 8 milioni di abitanti ed è caratterizzata al proprio interno da forti pulsioni separatiste, dovute soprattutto alla politica di colonizzazione attuata da Pechino nella provincia, volta a sradicare la popolazione locale a vantaggio dell’etnia han. Nelle ultime ore l’Etim ha negato ogni addebito, mentre Rebiya Kadeer, leader  della dissidenza uighura negli Stati Uniti (incontrato martedì scorso alla Casa Bianca da George W. Bush), ha chiesto una verifica internazionale di quanto affermato dal regime di Pechino.  

Nato in origine con l’obiettivo di creare lo Stato (islamico) del Turkestan Orientale, secondo gli esperti l’Etim avrebbe stretti legami con al-Qaeda e Hizb ut-Tahrir, una organizzazione fondamentalista molto radicata in Asia Centrale. Nel 2002 è stato inserito dagli Stati Uniti nella propria lista dei gruppi terroristici. Avrebbe la sua base a Mir Ali, nel Nord Waziristan, una delle aree tribali pakistane (Federally Administered Tribal Areas, Fata). Prima del settembre 2001, poteva contare su circa 900-1000 miliziani lungo il confine tra Pakistan e Afghanistan e un centinaio nel Xinjiang. Oggi il gruppo si sarebbe assottigliato e oscillerebbe tra le 40 e le 100 unità: pochi, ma a quanto pare molto agguerriti. 

Gli stretti legami con al-Qaeda – di cui costituirebbe una sorta di braccio operativo in territorio cinese – avrebbero infatti mutato gli obiettivi di fondo del suo jihad, legando la questione uighura all’agenda globale di Bin Laden e soci. Un salto di qualità che implica l’allargamento dei possibili bersagli da colpire: non più solo la Cina, ma anche gli Stati Uniti e i suoi alleati nella guerra al terrore. I rapporti con al-Qaeda si sarebbero forgiati negli ultimi cinque anni attraverso la mediazione della Islamic Jihad Union (di origine uzbeka) e grazie alla protezione fornita da Tehrik-i-Taliban, l’organizzazione ombrello dei talebani pakistani. 

La Cina sta investendo molte energie e risorse per migliorare la propria divisione antiterrorismo. In materia si può avvalere della esperienza della Polizia di Hong Kong e del contributo di Israele. La Shanghai Cooperation Organization (Sco) è stata concepita nel 2001 insieme alla Russia (e ad alcune repubbliche centro-asiatiche) anche per combattere il separatismo e il radicalismo islamista in Asia Centrale. La tradizionale alleanza con il Pakistan potrebbe essere sfruttata per mettere le briglie all’Etim. Il condizionale è d’obbligo, data la proverbiale ambiguità delle autorità pakistane nel combattere i militanti islamisti che operano nelle Fata: a Washington ne sanno qualcosa. Il regime cinese, inoltre, avrebbe chiesto alle autorità iraniane di tenere sotto controllo alcuni militanti uighuri legati alla ‘diaspora qaedista’ che si nasconde nelle regioni orientali del loro Paese. 

Lo spiegamento di forze a Pechino durante la kermesse olimpica sarà impressionante: 110 mila unità di polizia, tra forze speciali e squadroni antisommossa. Senza contare le forze armate e i 300 mila volontari civili per le operazioni di pattugliamento. La capitale cinese è stata trasformata in una ‘fortezza inespugnabile’, cosa che a detta di diversi osservatori spingerà i terroristi a colpire altre città. Quanto accaduto a Kashgar rivela una falla nel sistema di sicurezza cinese. Nel Xinjiang una operazione antiterrorismo è stata lanciata già da tempo. A sentire le autorità locali, nei primi sei mesi del 2008 sarebbero stati sventati diversi attentati e arrestati 82 presunti terroristi appartenenti a cinque gruppi di fuoco diversi. 

Le autorità cinesi hanno l’ossessione che nelle prossime due settimane tutto fili per il verso giusto e per non allarmare l’ambiente tendono a smorzare pubblicamente i toni. Nei giorni scorsi, hanno respinto senza indugi le dichiarazioni del Turkistan Islamic Party (Tip), un sedicente gruppo islamista che ha rivendicato la paternità di una serie di esplosioni a Kunming, Guanghzou, Wenzhou e Shanghai. Li Wei, noto esperto di terrorismo cinese, sostiene che un piccolo gruppo come il Tip – quasi certamente una branca dell’Etim – non avrebbe le capacità operative per compiere simili atti in luoghi così lontani dalle loro basi nel Xinjiang, e parla al contrario di atti compiuti da ‘cani sciolti’. 

Probabilmente cittadini comuni che hanno subito vessazioni dai potentati locali del Partito comunista cinese (Pcc), o che hanno perso il lavoro in seguito alla chiusura di molte fabbriche nelle province cinesi dove il costo del lavoro negli ultimi mesi è salito vertiginosamente. Il problema di questo genere di azioni, sottolinea Li, è che sono estemporanee e difficili da prevenire. Gli scontri di lunedì tra una decina di sfrattati e la polizia in un quartiere nei pressi di Piazza Tiananmen, sono l’ennesima spia di un latente stato di tensione, che trova spiegazione nella crescente polarizzazione sociale del Paese. 

I governi occidentali collaborano con la Cina per sventare ogni possibile minaccia terroristica durante le Olimpiadi, ma temono che questo massiccio apparato di ordine messo in campo dai cinesi  possa essere utilizzato in realtà per reprimere il dissenso. Un timore non del tutto infondato. Il regime di Pechino è stato spesso accusato di sbandierare un pericolo terroristico al solo scopo di giustificare la propria azione repressiva. E questo sia che la minaccia provenga dal separatismo uighuro, da quello tibetano, dalla setta religiosa Falung Gong o da semplici cittadini che reclamano giustizia. Per Drew Thompson, esperto sinologo del Nixon Center di Washington, bisogna capire che le autorità cinesi ragionano in termini di sicurezza interna, e che ai loro occhi è da considerare ‘terrorista’ chiunque tenti di sabotare i Giochi.