Terzo Reich. Oltre il filo spinato, alla ricerca di vite ed opere d’arte perdute

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Terzo Reich. Oltre il filo spinato, alla ricerca di vite ed opere d’arte perdute

02 Agosto 2009

La ricostruzione delle situazioni persecutorie prodottesi in Germania durante il dodicennio nazista sulla pelle degli ebrei tedeschi ed austriaci assimilati trova in un prezioso libro curato da Melissa Müller e Monika Tatzkow (Verlorene Bilder, verlorene Leben. Jüdische Sammler und was aus ihren Kunstwerken wurde, Elisabeth Sandmann Verlag, München 2009, p. 256, € 34,00) un contributo fondamentale che certo sarebbe utile poter vedere presto edito anche in Italia. Il titolo indica chiaramente i contenuti del volume: Dipinti perduti, vite perdute. I collezionisti ebrei e il destino delle opere d’arte di loro proprietà. Riccamente corredato di documenti e foto di famiglia, il libro ricorda di quali opere fossero ricche le collezioni di Paul Westheim, di Leo Bendel, di Alma Mahler-Werfel, di Max Silberberg ed altri, e ricostruisce il destino di quei capolavori e dei loro proprietari dal momento in cui, assunto il potere, il nazionalsocialismo iniziò a dispiegare la propria violenza antisemita. 

La storica berlinese Monika Tatzkow, impegnata da molti anni nella ricerca sulle provenienze della cosiddetta Raubkunst (arte derubata), ha raccolto e pubblicato qui insieme alla giornalista viennese Melissa Müller le sue ricerche in un libro che risulta riuscito da due punti di vista: da un lato festeggia la grande cultura collezionista privata ebraica prima della seconda guerra mondiale, e dall’altro ricorda come quei collezionisti, dopo il 1933, vennero espropriati, derubati, espulsi e spesso anche uccisi, mentre le loro preziose collezioni venivano vendute a galleristi tedeschi e a case d’asta.

Intorno alla metà degli anni Sessanta, nella Germania Federale, si pensò che i trasferimenti finanziari effettuati dalla fine della guerra in nome della “riparazione” fossero terminati. Successivamente però, quando si sfaldarono i regimi comunisti dell’Europa orientale e alla metà degli anni Novanta scaddero i periodi di restrizione archivistica, si comprese che molte delle istanze fino ad allora inutilmente presentate, relative a conti bancari, proprietà terriere e opere d’arte, da quel momento potevano essere ragionevolmente più fondate. Accadde così che nel 1998, a Washington, oltre alla Germania, altre 43 nazioni decisero che in futuro avrebbero ignorato i termini ormai scaduti e avrebbero cercato soluzioni eque e corrette con i presentatori d’istanze di restituzione o di risarcimento.

Di sostanziale però, negli ultimi dieci anni, non è accaduto molto. I musei tedeschi continuano a cercare soprattutto le proprie opere smarrite e, giustificati dalla carenza di denaro e di personale, per lo più si rifiutano di verificare le proprie raccolte d’arte rubate al tempo del nazismo. I risultati sorprendenti dell’ultima decade vanno attribuiti piuttosto a quei liberi professionisti come Müller, che dietro compenso garantito dagli eredi dei vecchi collezionisti, si sono lanciati nella scrupolosa ricerca delle provenienze delle opere. Evitando di concentrarsi solo sul recupero di opere di grandi artisti ingiustamente presenti nei musei tedeschi, essi hanno preso a muovere con successo rivendicazioni per le famiglie delle vittime del nazismo, conseguendo così anche il non secondario risultato di strappare alla dimenticanza i nomi, i curricula e i destini degli allora proprietari e producendo in definitiva maggiore “riparazione” di quanto possa fare un nudo e crudo assegno circolare.

Questo libro di Tatzkow e Müller è insieme un libro di storia e un libro d’arte, ma anche un documento del presente. Esso ricorda, per esempio, come per lo “Sumpflegende” di Paul Klee sia ancora in corso una diatriba tra gli eredi di Sophie Lissitzky-Küppen ed il sindaco di Monaco di Baviera, Christian Ude. Questi ha comunicato di recente che la riconsegna del dipinto contravverrebbe le regole della comunità bavarese ed equivarrebbe ad una “svendita del patrimonio pubblico”. Così facendo però, Ude ignora come anche l’Associazione delle Città Tedesche abbia ratificato la dichiarazione di Washington del 1998 e dimostra che il tema della restituzione delle opere d’arte sottratte dai nazisti, dopo più di sessant’anni, è tutt’altro che risolto.