The End of Foreign Policy
17 Novembre 2011
di redazione
Se c’è un tormentone che ha caratterizzato la lunga stagione culturale del postmodernismo è quello della “fine di”. Dalla “fine delle narrazioni” di Lyotard alla “fine della storia” propagandata dai vari Baudrillard e Fukuyama, i bonzi del postumano non hanno fatto altro che annunciare la conclusione di questo e quello, del soggetto centrato, della Storia e dell’Identità, in nome del più centrifugo dei pluralismi e in ossequio alla moda sempre più imperante del relativismo.
La rivista americana Foreign Policy in questi anni ci ha messo di suo, con l’equilibrio di toni e l’autorevolezza che la contraddistinguono, e che ne fanno un boccone prelibato per i lettori, raccontando la “fine dell’establishment” americano piuttosto che la “fine delle FARC” colombiane, la “fine del decennio di al Jazeera” o “la fine della golden girl” Yulia Tymoshenko.
All’appello non poteva mancare “The End of Italy”, il curioso saggio apparso sempre su FP a firma di David Gilmour (non quello dei Pink Floyd), in cui in un fior da fiore di ovvietà si ripercorre la Storia del nostro Paese dal Risorgimento ad oggi, spiegando che l’Italia non è mai stata unita e che presto, molto presto, potrebbe fare un capitombolo. Se non si troverà “un nuovo modello politico che tenga conto del suo intrinseco e millenario regionalismo”. A pensarci bene ci chiediamo se, finita l’Italia, finita la Storia, finite le narrazioni grandi e piccole, a un certo punto non verrà anche il momento in cui potremo discettare sulla “fine di Foreign Policy”.