The Millionaire, la storia di un orfano indiano che ne sa una più del diavolo

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The Millionaire, la storia di un orfano indiano che ne sa una più del diavolo

22 Gennaio 2009

Convinti che un film di qualità si riconosce dopo poche sequenze, e se ha successo planetario è perché è molto semplicemente ben fatto, bastano i primi quindici minuti di The Millionaire per capire che l’avvincente drammone in stile Bollywood potrebbe finire per travolgere gli Oscar del 22 febbraio, specialmente dopo che ha incoronato vincitori morali della serata dei Golden Globes di Los Angeles il regista “Mr Trainspotting” Danny Boyle e i suoi straordinari collaboratori.

La stessa sensazione, genere e frivolezza a parte, si aveva guardando Mamma mia, anche per chi detestasse i musical di stampo classico e magari anche Meryl Streep. Ma di fronte a un prodotto così perfetto, così splendente in ogni inquadratura, non potevi non convenire che il podio di film dai maggiori incassi di tutti i tempi poteva contenderselo con Titanic di diritto. E Slumdog Millionaire, nel titolo originale che sintetizza la doppia ambientazione della storia fra le sterminate baracche di lamiera di Mumbai e le sfumature azzurrine dello studio televisivo di Chi vuol essere Milionario, pare aver iniziato a surfare un’onda del genere.

Coprodotto dalla Celador, proprietaria dei diritti dello show televisivo, il film è un originale pubblicità indiretta del programma, di cui racconta una puntata mozzafiato; peraltro identico alla nostra versione locale, dato che del format planetario l’unica differenza che si può individuare riguarda le poltroncine, e ovviamente le domande; per il resto tra musica, sigla e disposizione dello studio sembra proprio di stare a Cologno.

La trama è indiscutibilmente quella di un feuilleton classico, prevedibile e godibilissima, adattata dal bestseller internazionale di Vikas Swarup “Q&A”, ma orchestrata come una fluida danza spazio-temporale. Il film inizia dalle ultime battute della storia, con un giovanissimo chai-walla (ragazzo del tè) che viene “interrogato” con metodi non esattamente teneri dalla polizia locale che lo ha prelevato di forza dallo studio tv, in alcune delle sequenze di un interrogatorio tra le più impressionanti degli ultimi tempi (si tratta pur sempre di un film di Danny Boyle, per cui brutalità e violenza governano i momenti narrativi cruciali).

A un passo dalla vincita di quei venti milioni di rupie che lo renderebbero il trionfatore assoluto del Milionario, e che incollano l’India intera ai televisori, l’accusa è di essere un truffatore che deve per forza aver avuto da altri le risposte al quiz per arrivare dove nessuno è mai riuscito neanche ad avvicinarsi. Ma l’orfano dei bassifondi riuscirà a dimostrare cosa gli permette di conoscere le risposte del gioco, persino le più impensabili per un poveraccio come lui, senza alcun inganno. Il ragazzo fronteggerà con innocenza un conduttore televisivo tutt’altro che garbato e sapiente come il nostro Gerry Scotti, e invece viscido e offensivo nei confronti di un ragazzetto che per la classe di provenienza vale poco più di niente, e anche se serve agli ascolti del programma, merita scherno e battutacce. Dietro all’apparizione in tv si cela ovviamente la leva romantica, e il film mescola l’India alla Hollywood degli anni d’oro del cinema, in un trionfo di esuberanza e di ottimismo. 

La presentazione per immagini del paese non riesce a sottrarsi ad alcuni momenti di iconografia turistica che qualunque autore portato a girare in un paese esotico sembra comandato a mostrare, ma per il resto Boyle e il suo geniale direttore della fotografia Anthony Dod Mantle sono scesi sotto ogni livello di strato urbano e con uno sguardo tra il rocambolesco e l’incantato fanno conoscere un’India da outsider, credibilissima e vibrante nella sua contraddittoria attualità.

Per il godimento di chi deve ancora vedere il film non aggiungeremo altri particolari sulla storia. Ma lasciate dire che questo è il cinema che vorremmo sempre vedere, un cinema cui è difficile resistere, che ti tiene col fiato tirato dall’inizio alla fine. Ritmo, intelligenza visiva, divertimento, passione, nessuna pretesa se non quella di immergerci in una favola contemporanea, un racconto chiaro e immediato, e soprattutto un trionfo di suoni, colori ed emozioni forti. Non sono molti i film dell’ultimo decennio che si può dire abbiano dato altrettanto, se si escludono i cartoni animati più riusciti della Pixar.