The Mission, il reality con i profughi. Oltre lo scandalo c’è il fund-raising
06 Agosto 2013
di redazione
Un nuovo reality, The Mission, in cui il solito gruppo di stelle alla ribalta, Albano, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi, Emanuele Filiberto, vengono chiamati ad aiutare gli operatori dell’Unhcr e e dell’Ong ‘Intersos’ e quindi i profughi in Italia. La condanna, degli opinion maker, degli insider della cooperazione, di pezzi della Chiesa Cattolica, sembra unanime. Change.org lancia anche un appello a mamma Rai per "fermare questo scempio che specula sul dolore della gente e spettacolarizza i drammi umani di chi vede ogni giorno negati i propri diritti!". Viene scomodato anche Papa Francesco, non sarebbe certo questo il messaggio lanciato a Lampedusa. Ma siamo così sicuri che un reality, con la sua grande capacità di penetrazione e di identificazione, se pure limitata a una puntata di un’ora, debba per forze essere un limite e non una risorsa per il fund raising delle ONG e del terzo settore in generale? "Quando abbiamo deciso di aderire a questo esperimento di comunicazione eravamo ben consapevoli di esporci a critiche, commenti e di suscitare interrogativi purtroppo, anche qualche insulto", dice Marco Rotelli, Segretario generale di Intersos, una Ong impegnata in 30 paesi nel mondo. "Da molti anni le organizzazioni umanitarie dibattono sulla comunicazione, su metodi e limiti del loro rapporto con il pubblico. Quanto alle crisi umanitarie, l’opinione condivisa da molti è che se ne parli troppo poco: tranne in rare eccezioni, solo quando gravi tragedie scuotono le emozioni del grande pubblico e si accende la luce mediatica sulla sofferenza di milioni di persone, altrimenti dimenticate". Per cui, se è vero che quella attenzione verso i profughi durerà poco, non potrebbe quel poco essere sufficiente a rafforzare chi di questo settore si occupa da sempre?