Tibet, sui diritti umani la Cina ha già vinto
17 Marzo 2008
In queste ore drammatiche per
il Tibet, mentre salgono a più di 90 i morti dopo i disordini a Lhasa,
assistiamo increduli alla parata delle belle parole di condanna che si
accompagnano alla assoluta impotenza della diplomazia internazionale.
Escludendo con fermezza
persino l’ipotesi più remota di boicottare gli imminenti giochi olimpici – vale
per tutti la dichiarazione di Solana, ministro degli Esteri dell’UE che si è
affrettato a promettere che lui a Bejing ci sarà – è chiaro che la partita
viene considerata persa.
Nulla di nuovo si dirà, visto
che la linea ufficiale degli europei è quella della “One land one China”, con
chiaro e implicito riferimento alle tante questioni etniche che rappresentano
la spina nel fianco del regime cinese, per non parlare della questione di
Taiwan.
Il Tibet però è diventato
l’emblema della pax cinese,
sottoposto come è ad una vera e propria colonizzazione, economica, militare e
soprattutto demografica. Non si reprime solo brutalmente lo spirito religioso e
l’anelito di libertà che connota la straordinaria popolazione tibetana, ma si
fa in modo, come è gia accaduto, che i tibetani diventino minoranza nella
provincia. Tutto questo non ha giustificazione, visto soprattutto il linguaggio
pacifico da sempre usato dalla massima
guida spirituale dei buddisti, il Dalai Lama, che sempre e in ogni
occasione rivendica solo rispetto e libertà e mai “indipendenza” per la
sciagurata terra tibetana.
Ci si avvita in una nuvola di
caute dichiarazioni, di condanne misurate col bilancino, attenti anzi
attentissimi a non strafare, incapaci di comprendere che la tutela dei diritti
umani, di cui peraltro ci si riempie la bocca, merita forse di fronte alla
tragedia in atto parole chiare e atti concreti.
Certo, dobbiamo sperare che
prevalga il pragmatismo di cui la classe politica cinese si è per molti versi
rivelata mirabile interprete, soprattutto in campo economico. Hu Jintao, appena
riconfermato dal Congresso del partito comunista cinese per un secondo mandato,
in un momento così cruciale potrebbe tutto sommato accettare la grande
scommessa di cui tutto il mondo lo implora: stop alla repressione e sì al
dialogo pacifico e diretto con il Dalai Lama.