Time incorona “the protester” eroe dell’anno. Ma non sa di cosa parla
18 Dicembre 2011
di Daniela Coli
Time incorona persona dell’anno il manifestante, unisce le “rivoluzioni” di Tunisia, Egitto, Libia, le proteste greche, quelle di Occupy Wall Street e le dimostrazioni in Russia e brinda alla nuova democrazia globale di cui l’America del Nord è il modello. Non è uno spot pubblicitario stile Cnn, ma piuttosto una mossa retorica, neppure tanto smaliziata, come direbbe qualche studioso americano, per nascondere il vero evento dell’anno: il ritiro dall’Iraq, iniziato in questi giorni e il cui termine cade proprio il 31 dicembre.
Un ritiro doloroso per il più potente apparato bellico globale, per evitare il quale gli Stati Uniti hanno negoziato per mesi. Una guerra durata otto anni, costata 800 miliardi di dollari e più di 4.400 morti, senza contare le vittime irachene e la devastazione dell’Iraq, il cui risultato è stato per ora rafforzare l’Iran, il nemico numero uno degli States.
C’è chi scommette su un conflitto tra Arabia Saudita e Iran per l’Iraq, ma, come ha scritto il Foglio nel mondo arabo si parla di Baghdad come di una nuova mecca delle imprese. La politica estera americana, a parte qualche lampo di genialità ebraico-tedesca di Kissinger, è stata segnata da insuccessi: ricordare ancora una volta come gli States furono giocati da Khomeini e la fuga indecorosa dal Vietnam sarebbe cattivo gusto.
La scelta di Time riflette la confusione del Colossus, come lo chiama Niall Ferguson, il tentativo di ribadire che la bandiera a stelle e strisce rules the waves, anche se gli americani meno ingenui hanno qualche dubbio di essere ancora il motore della storia. L’autore Person of the Year, Rick Stengel, commette strafalcioni da fare dubitare delle classifiche della Ivy League, come ha osservato l’Economist a proposito della crisi delle università americane, concordando con Academically Adrift, il libro di Richard Arum e Josipa Roksa, sul fallimento delle università statunitensi, finora un modello per tutti gli altri paesi.
Se gli studenti imparano poco, i docenti sono impegnati a scrivere articoli che nessuno leggerà mai, spesso parrocchiali, anche se supercitati dai colleghi English speaking. Le rivoluzioni sono una cosa seria – noi europei ne sappiamo qualcosa – e il cambio di regime in Tunisia e in Egitto, o la guerra di Libia non hanno niente a che fare con la rivoluzione inglese del ‘600, quella francese del 1789, quella russa del 1917 o quella cinese. Anche se Obama e Hillary Clinton si sono dati da fare per mettere il cappello sulle “rivoluzioni di primavera” non pare saranno gli Stati Uniti a raccoglierne i risultati.
È Erdogan, il presidente turco, il leader più amato dei paesi delle “rivoluzioni di primavera”, come afferma anche Time, ma non pare che l’America del Nord possa diventare partner privilegiato della Turchia sia per la questione armena, sia per Israele, sia per l’autonomia missilistica che la Turchia sta raggiungendo.
Proprio perché la Turchia sta contendendo a Iran e Arabia saudita il ruolo di leader dei paesi musulmani, non può venire meno ad alcuni aspetti principali della politica araba: se ha subito riconosciuto l’Egitto post-Mubarak ha invece rotto i rapporti con Israele, espellendo nel settembre 2011 l’ambasciatore israeliano. Nonostante Foreign Policy veda sempre qualche crisi imminente tra Turchia e Germania, tra i due paesi vi sono rapporti storici: 10milioni di turchi immigrati in Germania lo dimostrano.
L’editoriale di Rick Stengel fa partire tutto il nuovo ciclo “rivoluzionario” dalla Tunisia e dimentica le dimostrazioni degli studenti londinesi nel novembre-dicembre 2010, col parlamento di Londra sott’attacco e la Rolls di Carlo e Camilla assediata dai manifestanti poco adatti alla parte dei fedeli sudditi della Royal Family. Dimentica pure la rivolta di quest’ottobre di Londra, con i palazzi in fiamme e le migliaia di giovani che saccheggiavano i negozi. Occupy Wall Street poi è contro la finanza, contro le banche too big to fail: è la rivolta degli americani middle class impoveriti, homeless, disoccupati, che non credono più nelle istituzioni.
Time non si accorge neppure che il simbolo degli indignados inglesi e americani è Anonymus con la maschera di Guy Fawkes, un pasticcio di cybercultura e analfabetismo storico perdonabile a masse di studenti di una scuola dequalificata, affascinati dal fumetto e dal film V per Vendetta, drammaticamente analfabeti e a cui si può rifilare di tutto, anche “V” con la maschera Guy Fawlker, che uccide vescovi e lotta contro il totalitarismo orwelliano del 2025.
Nessuno di loro e forse neppure Stengel ha mai sentito parlare del Gunpowder, la congiura delle polveri del 1605, un fosco episodio della storia inglese. Tra la notte del 4 e il 5 novembre 1605 fu scoperta la congiura che avrebbe dovuto fare saltare in aria il parlamento e Giacomo I con la sua famiglia.
Della congiura furono accusati un gruppo di cattolici, tra cui Guy Fawkes: arrestati, torturati con mutilazioni dei genitali, furono decapitati e squartati. Il boia estrasse il cuore di Guy Fawkes, gridando alla folla: “Ecco il cuore di un traditore”. La xenofobia contro i cattolici, considerati spie e traditori, raggiunse il massimo nella congiura di Titus Oates nel 1678, che denunciò un inesistente complotto cattolico e provocò una nuova strage di cattolici.
La polvere che avrebbe dovuto far saltare il parlamento nel 1605 non avrebbe comunque mai potuto esplodere, perché era bagnata. Vari storici, dopo il libro di Antonia Fraser, sostengono che il Gunpowder sia stato opera di Cecil Robert, il favorito di Elisabetta, capo dei servizi segreti di Giacomo I, che voleva eliminare qualsiasi riconciliazione della cristianità e qualsiasi riavvicinamento alla chiesa cattolica di Giacomo, figlio di Mary Stuart, una martire cattolica.
Altri storici sono invece convinti della responsabilità di Guy Fawkes nel Gunpowder e che i congiurati si proponessero addirittura di rapire Elizabeth Stuart e di metterla al posto di Giacomo. In questo caso, i congiurati sarebbero stati davvero stupidi, perché Elizabeth era una fondamentalista protestante. L’unico felice dell’esplosione del parlamento, senza la sua presenza, sarebbe stato però proprio Giacomo I, convinto di essere re per diritto divino e nemico, come tutti gli Stuart, dei parlamenti.
Questo strano periodo di manifestanti mascherati da Guy Fawkes che protestano contro il parlamento a Londra e a Wall Street, di personaggi come Assange, una specie di Cecil Robert del XXI secolo, di false notizie della Cnn, come all’inizio della rivolta in Libia, di guerra valutaria, di speculazione finanziaria, di bombe su civili in nome della democrazia e dei diritti umani, sta mettendo in crisi le certezze e i confini del secondo ‘900 e anche dei primi dieci anni del XXI secolo.
Forse non è in corso una rivoluzione globale per un pianeta più democratico, come conclude Stengel. Forse è soltanto ripreso il solito grande gioco, non il vecchio great game ottocentesco tra Russia e Inghilterra per il controllo dell’Asia, ma qualcosa di diverso e di più pericoloso, quello che si verifica quando si sfaldano i colossi, spariscono gli eroi per un giorno e si vive alla giornata, perché non si sa come finirà.