Toh, chi si rivede, il “Libretto rosso” del presidente Mao
13 Luglio 2008
Toh, chi si rivede, il “Libretto rosso” del presidente Mao, edito nuovamente in Italia a 42 anni dalla sua uscita in Cina e tradotto in decine di lingue. Un relitto della storia la cui pubblicazione oggi è un’operazione meritoria, certo al di là delle intenzioni della casa editrice, la Rizzoli, e della curatrice e prefatrice, Renata Pisu.
Mentre impazzano oscene rimembranze sessantottare (non sessantottine, termine semanticamente evocatore di un che di gentile totalmente estraneo al ’68, salvo l’assonanza coi cachemirini sotto l’eskimo di ordinanza degli sprangatori), questa pregevole opera resta un documento prezioso. Non per i cinesi, naturalmente, per i quali si impongono ben altre considerazioni, e che l’hanno comunque da tempo buttata, insieme col suo autore, nel bric-à-brac della Storia. E’ utile per i giovani d’oggi, che possono così verificare per chi e che cosa molti dei loro padri, tanti guru e ciarlatani, si sono a suo tempo entusiasmati, sventolando, come facevano i cinesi, il prezioso Libretto.
C’è una prefazione, di cui diremo, ma i “pensieri” del presidente Mao parlano da soli. “La rivoluzione non è un pranzo di gala. E’ un atto di violenza, è l’azione di una classe che abbatte il potere di un’altra”. “Noi dobbiamo sostenere tutto ciò contro cui il nemico combatte, e combattere contro tutto ciò che il nemico sostiene”. “Il potere nasce dalle canne del fucile”. Non stupisce, qui, l’esaltazione della violenza e dell’azione a mano armata: era necessario che venisse Mao a dirlo? Quando mai le rivoluzioni non sono state sanguinarie?
In Mao si trova di tutto.
L’ovvio: “Non aspettate, per risolverli, che i problemi si accumulino, e generino complicazioni”; “Indagare su un problema significa risolverlo”; “Noi dobbiamo conquistare questo mondo, il nostro obiettivo è questo mondo. Inutile per il momento parlare di come organizzare il nostro lavoro sul Sole. Per quanto riguarda la Luna, Mercurio e Venere, e tutti gli altri pianeti esclusa la Terra, potremo studiarli in futuro e andare a visitarli se riusciremo a raggiungerli”. Trionfo della banalità preso per originalità di pensiero.
La menzogna: “Il comunista deve essere sempre pronto a difendere fermamente la verità, perché la verità concorda sempre con gli interessi del popolo”; “I comunisti hanno il dovere di ascoltare l’opinione dei non comunisti, di permettere agli altri di pronunciarsi”. Quando mai si è avuta la verità in un sistema comunista, specie nella sua Cina? Proprio mentre il suo rosso libretto diffondeva questa sua affermazione, servitù e sgherri di Mao, negando la “verità borghese”, proclamavano “il carattere di classe della verità”, con la “circolare del 16 maggio 1964”: fase cruciale verso la rivoluzione culturale, mentre i maoisti europei andavano in visibilio per la “circolare del 16 maggio 1966”, esaltandone l’autore, il “compagno Chen Pota”, di cui poi Mao si disfarrà quale imbarazzante complice. Dei non comunisti, non si sa ancora quante decine di milioni siano stati sterminati o mandati a rieducarsi nei campi di lavoro. Nel 1980, mentre era in corso la de-maoizzazione (il Timoniere era scomparso nel 1976), l’allora segretario del partito, Hu Yaobang, dichiarò che dal 1978 erano state riabilitate cento milioni di persone, non si sa quanti a titolo postumo.
Il cinismo (che spaventò perfino Krusciov, per la noncuranza di una guerra nucleare): “L’imperialismo è una tigre di carta (…) C’è l’eventualità che i maniaci della guerra si risolvano a lanciare bombe atomiche o all’idrogeno. Quanta gente morirebbe? Un terzo, o addirittura la metà della popolazione mondiale. Ne ho discusso con uno statista straniero, che riteneva che il genere umano sarebbe stato annientato. Ma io penso che, se metà del genere umano fosse annientato, rimarrebbe l’altra metà, l’imperialismo americano sarebbe abbattuto e il mondo intero diverrebbe socialista”. Questo, nel Libretto. Ma alla conferenza dei paesi socialisti a Mosca nel 1957, Mao era stato più crudo sul proprio popolo, deridendo le preoccupazioni di Krusciov su uno scontro nucleare con gli Usa. Per quanto riguarda la Cina, disse, se anche avesse perso 300 milioni di persone, gliene sarebbero rimaste altri 300. “La guerra è guerra, gli anni passeranno e noi ci rimetteremmo a scopare e a far figli più di prima”. Poi però nell’acuirsi della rottura con Mosca, nel 1971-72, si decise ad allearsi di fatto alla “tigre di carta” per fronteggiare la minaccia sovietica.
La pedagogia da bar Sport, o casa da tè: “I comunisti devono essere di esempio anche nello studio. Giorno per giorno si istruiranno a contatto con le masse”; e intanto, al grido di “il sapere è privilegio borghese”, faceva chiudere scuole e Università, dopo aver prima dato istruttivi ammonimenti: “Attualmente il periodo di studio è troppo lungo, e questo è un fatto estremamente dannoso. Ci sono troppe materie, e il fardello è troppo pesante. Gli studenti sono in costante stato di tensione. I casi di miopia sono in aumento tra gli studenti delle elementari e delle medie”. “L’attuale sistema di condurre gli esami è buono per affrontare il nemico, non i nostri studenti. E’ un metodo di attacco e sorpresa che dovrebbe essere cambiato completamente. Agli esami, dovrebbe essere permesso di suggerire e prendere il posto di un altro. Se la tua risposta è giusta e io la copio, allora anche la mia deve essere considerata giusta”. Ci siamo. Quest’ultimo punto, messo in pratica in Italia da tanti sessantottari con l’imposizione del 27 politico e collettivo, spiega l’entusiasmo per il Timoniere dei molti Stamberga: sinonimo che usiamo al posto del vero nome di quella mezza calzetta lasciandola nell’oblio da cui cerca invano di uscire.
Ci sono anche, nel Libretto, le poesie del Timoniere, sulle quali l’osservatore politico non ha titoli per esprimersi, confidando nel giudizio di Arthur Waley, sommo sinologo: “Non così brutte come i dipinti di Hitler, ma non buone come i dipinti di Churchill”.
Nell’edizione italiana sono aggiunte pagine di un saggio di Mao, a suo tempo celebrato come fondamentale, sull’importanza dell’educazione fisica. Peccato che il grande ginnasta- sportivo, come da tempo si sa grazie alle memorie del suo medico privato, non si sia mai lavato i denti, non si sia mai pienamente lavato, limitandosi a farsi strofinare con asciugamani bagnati e massaggiare da robuste guardie di sicurezza, alle quali spesso, indicando una certa parte del proprio corpo, intimava: “ E a questo, non lo fai un massaggino?”.
So bene che banalità, menzogne, cinismo, pedagogia da strapazzo, retorica di “servire il popolo”, andrebbero contestualizzate, per coglierne il significato politico nella realtà cinese allora segnata da lotta profonda tra Mao e parte del vertice del partito. Ma gli sventolatori non conoscevano tale contesto, e prendevano sul serio, alla lettera, questo ciarpame, incapaci non si dirà di sghignazzi, ma almeno di una risata. Il contesto avrebbero dovuto conoscerlo bene, o almeno a grandi linee, tanti sinistri in Italia e in Francia, quelli del Manifesto e di Tel Quel: i quali, maturato il severo giudizio sull’Unione Sovietica come sistema “burocratizzato” – solo questione di burocrazia per loro, non di spietato autoritarismo – si rivolgevano a Mao per il presunto protagonismo delle masse, trasferendo le loro fantasie, frustrazioni, ambizioni e aspirazioni sbagliate in un posto immaginario chiamato Cina. Dove le masse – presunte depositarie di chissà quali virtù – erano comunque manipolate quale raramente è avvenuto nella storia, in un fenomeno di inganno e fanatismo collettivo a dimensione cinese, cioè colossale; dove il Timoniere si vantava pubblicamente di aver sterminato più studiosi e sapienti di chiunque altro nella storia prima di lui, privando il paese di intelligenze e conoscenza per lo sviluppo; dove ancora il Timoniere esaltava la povertà e l’arretratezza di un paese di grande e antica civiltà ridotto a tabula rasa per i suoi feroci esperimenti sociali: “La Cina è una pagina bianca. Vi si può scrivere quel che si vuole”.
Il contesto, fin da allora, non era poi così difficile da capire per seri osservatori. Nel 1956, anno della destalinizzazione e denuncia di Stalin da parte di Krusciov, anche Mao era stato ridimensionato a Pechino. Si era rifatto lanciando la campagna dei “cento fiori” contro il vertice del partito, sollecitando critiche contro la sua politica; ma le critiche investirono la legittimità del partito in sé, non del suo operato; l’apparato corse ai ripari con la “campagna antidestrista” del 1957, mandando in campagna milioni di intellettuali. Nel ’58 Mao volle lanciare il “grande balzo in avanti”, collettivizzazione integrale dell’agricoltura e industrializzazione accelerata con gli “altiforni da cortile”, che provocò in tre anni almeno trenta milioni di morti di fame. Ma già nel ’59 il disastro si era palesato, e fu denunciato dal ministro della Difesa in una riunione di vertice. Mao prese come un attacco a lui stesso la rivelazione, minacciò di lanciare la guerriglia contro il partito, ottenne la rimozione del ministro – che restava comunque membro del Politburo, a dimostrazione che tanti altri erano con lui -, sostituito dal suo fedele Lin Biao. Poi si ritirò “sulla seconda linea”, cioè a covare risentimenti contro un partito che lo aveva di fatto esautorato, mentre Lin Biao, sul giornale dell’Armata, lo esaltava fino al delirio, cominciando a pubblicare in prima pagina i suoi “Pensieri” che saranno poi raccolti nel Libretto rosso. Il partito, impegnato a riparare i guasti, lasciava fare, anzi contribuiva a esaltarlo come totem e icona, pensando di averlo neutralizzato, mentre lui tramava per la rivincita, che avrà lanciando nel 1966 la “rivoluzione culturale” contro quel gruppo dirigente: un appello alle masse di rispondenza profonda per il malcontento, i drammi e la fame vissuti dalla Cina in quegli anni per colpa sua, e che lui attribuiva ai “revisionisti”. Il partito nell’insieme, quel gruppo, tra i primi Deng Xiaoping, furono vittime, prima che di Mao, dell’inganno da essi stessi alimentato contribuendo al culto di un Timoniere che essi pensavano di aver messo in condizioni di non nuocere. E solo dopo che lui è morto e la sua eredità liquidata, la Cina ha cominciato a rialzarsi.
Mao Zedong, Pensieri da "Libretto Rosso", a cura di Renata Pisu, Edizioni BUR, 2007, p. 107, 5 euro.
Fernando Mezzetti è stato corrispondente da Pechino dal 1980 al 1983 e da Mosca dal 1983 al 1987 per «Il Giornale». E’ stato poi per quattro anni corrispondente per «La Stampa» da Tokyo. Il suo ultimo libro sulla Cina, Da Mao a McDonald’s, uscito nel 2006, è la nuova edizione rivista e aggiornata del volume pubblicato nel 1995 con il titolo Da Mao a Deng, già tradotto in Russia e in Brasile. Sulla Cina ha pubblicato anche Dietro la grande muraglia. Segreti e lotte di potere dal furore maoista al capitalismo rosso (2004).