Torna Hulk, il più letterario dei supereroi
06 Luglio 2008
“Ci sono lati della mia personalità che non controllo”. Umano fin troppo umano il gigante verde uscito dalla fantasia di Stan Lee e dalle matite di Jack Kirby. “L’incredibile Hulk” sfonda per la seconda volta il grande schermo, per la regia di Louis Leterrier.
“L’incredibile Hulk” ricalca il celeberrimo telefilm girato tra il ’78 e l’82 in cui la creatura aveva i muscoli del culturista Lou Ferrigno, che ritroviamo in un cameo di Leterrier. La riproduzione in digitale richiama il meglio della stagione fumettistica anni ’90 (i disegni del canadese Dale Keown), con un Hulk gigantesco e nerboruto oltre ogni immaginazione. Gli effetti speciali si bilanciano con il recitativo impedendo al prodotto di connotarsi semplicemente come un film d’animazione, e regalando un paio d’ore di fantasy godibile e di thriller mozzafiato.
Bruce combatte gli effetti della sovraesposizione ai raggi gamma che lo hanno trasformato in Hulk, un mostro dalla potenza fisica inversamente proporzionale alle sue capacità cognitive, che perde il controllo quando è in preda al terrore o alla rabbia. Bruce fugge da tutto e da tutti, da se stesso e dall’amata Betty (Liv Tyler) – la figlia del Generale Ross, il militare che guidava il progetto su cui lavorava Bruce prima dell’incidente che lo ha mutato per sempre.
Sempre Bruce si eclissa nelle favelas dov’è costretto a fare i conti con il suo battito cardiaco accelerato, gli istinti bestiali, insomma il suo lato oscuro. Nel frattempo viene scoperto dall’esercito ed è costretto a uscire allo scoperto. Da quel momento inizia la caccia ad Hulk mentre Bruce torna sui luoghi del suo passato in cerca di aiuto (c’è una rete in incognito che cerca una soluzione scientifica al suo problema). Tutto inutile.
Proprio l’ineluttabilità è il tratto essenziale del fumetto: un destino ingovernabile, l’imprevedibilità della propria coscienza – l’eroismo a volte, l’irrazionalità più spesso, ma anche il grottesco delle nostre paure. Il primo Hulk (anno domini 1962) era una sorta di enorme Frankenstein grigio – sì grigio, il colore verde venne dopo – un gigante tanto irascibile quanto tenero con la sua Betty, imprendibile e indistruttibile, che racchiudeva in sé le paure sugli effetti degli esperimenti nucleari e sul loro reale controllo in epoca di Guerra Fredda.
Se per creare il personaggio Stan Lee attinse a piene mani a “Lo strano caso del dottor Jekyll e di mr. Hyde” di R. L. Stevenson, a dargli invece le fattezze ‘frankensteiniane’ fu “il Re” dei comics, Jack Kirby, già disegnatore di Betty Boop e Capitan America che, nella stagione eroica della Marvel, contribuì a sfornare i Fantastici Quattro, Thor, Iron Man, Silver Surfer, e chi più ne ha ne metta. Hulk è stato quindi una splendida sintesi pop tra le pietre miliari della narrativa inglese e la legione dei supereroi americani.
Le sorti del fumetto sono state alterne. A seconda dei casi, gli autori hanno cambiato colore a Hulk, ne hanno modificato le capacità lessicali e intellettive (come pure i poteri di Bruce nel gestire le proprie trasformazioni e i tempi di ritorno alla normalità), innovando e tornando ciclicamente al modello di partenza, più per la difficoltà propriamente letteraria che da sempre si accompagna al personaggio che per la logica seriale tipica dei fumetti.
I fumetti migliori sono quelli in cui l’autore concentra la sua attenzione sulla storia (vale anche per i romanzi, i film e i telefilm): in questo caso la maledizione di Bruce Banner che porta la sua croce come una sorta di Frodo Baggins senza meta. Ma ci sono anche le sue paure, i rapporti con gli altri personaggi, la fisicità esplosiva della creatura. Quando tutti gli elementi narrativi vanno al posto giusto, è come se una magia si impadronisse di chi si trova davanti a Hulk, ed è esattamente quello che accade guardando il film di Leterrier.