Tra anatemi e tatticismi, a che gioco sta giocando Fini?
18 Novembre 2010
A che gioco gioca Gianfranco Fini? Dal d-day di Perugia al ritiro dei ministri finiani dal governo, passando per il faccia a faccia con Bossi fino all’annunciata mozione di sfiducia in tandem con Casini e Rutelli, la nebbia dell’ambiguità su come il presidente della Camera intenda portare avanti e fino in fondo – se ancora è ciò che vuole – la crisi politica che ha aperto, non si dirada. Anzi, s’infittisce. Al punto che in queste ore il termometro delle fibrillazioni sta tutto nel campo dei futuristi, alcuni dei quali non sarebbero del tutto convinti sulla sfiducia al Cav. che aprirebbe la strada al voto anticipato.
Ad oggi, di certo ci sono solo due cose: la data del 14 dicembre quando Senato e Camera voteranno le rispettive mozioni pro e contro Berlusconi e quella di sfiducia già presentata a Montecitorio da Bersani e Di Pietro. Nessuna traccia, invece, dell’analogo provvedimento sbandierato in tv e sui giornali dal luogotenente finiano Bocchino e dal leader centrista Casini.
Pochi giorni fa (11 novembre) il capogruppo di Fli dalla ribalta di Annozero diceva così: “Se, una volta approvata in Parlamento la Finanziaria, Silvio Berlusconi continuerà a non rassegnare le dimissioni, a quel punto è chiaro che lo sfiduceremo”. E Casini, seduto al suo fianco ripeteva: “O Berlusconi si dimette lui, oppure lo si dimette”. E’passata una settimana ma agli atti ci sono le parole, i fatti no. Dove sta la famigerata mozione di sfiducia che da lunedì, quando Ronchi, Urso, Menia e Bonfiglio hanno dovuto obbedire al diktat del presidente della Camera, è risuonata come un mantra nel campo dei terzo polisti antiberlusconiani? E chi sarà a presentarla? Casini, Rutelli o Fini?
I capi di Udc e Api ci stanno lavorando da giorni, almeno così hanno dichiarato, e i finiani dicono che la voteranno ma la sensazione è che il presidente della Camera stia giocando a rimpattino, mettendo in campo l’ennesimo tatticismo aspettando le mosse del Cav. Che, a differenza di quelle futuriste sono chiare: se alla Camera passerà la sfiducia si torna alle urne. Esattamente ciò che Fini vuole evitare e con lui Casini e Rutelli (pure Bersani nel centrosinistra che oggi ha dichiarato: gli italiani non vogliono le elezioni).
Al punto che, stando ai rumors di Palazzo non è considerata fantapolitica l’ipotesi per la quale la mozione di sfiducia potrebbe essere impallinata dagli stessi proponenti, magari non facendo partecipare al voto un numero sufficiente di deputati. Ciò consentirebbe a Fini e ai terzo polisti di continuare a cucinare a fuoco lento il Cav. che a quel punto si ritroverebbe appeso all’equilibrio precario di una maggioranza risicata.
Scenario che non sfugge ai fedelissimi del premier e non a caso – si vocifera nell’inner circle berlusconiano – anche se a Montecitorio la sfiducia venisse bocciata, Berlusconi sarebbe comunque intenzionato ad andare a elezioni anticipate piuttosto che “vivacchiare” con lo spettro di un incidente di percorso sempre dietro l’angolo.
C’è poi un’altra questione che infittisce la nebbia futurista. Fini è pro o contro il Berlusconi-bis? Anche qui tante parole e pochi fatti. A Perugia il presidente della Camera ha chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio (prassi del tutto anomala nella storia repubblicana), il famoso passo indietro seguito dall’avvio di una nuova stagione politica: nuovo programma e nuova maggioranza con l’ingresso dei centristi a Palazzo Chigi. Ma non ha specificato se questa fase debba prevedere o meno il reincarico a Berlusconi da parte di Napolitano. Il 9 novembre (due giorni dopo il rito perugino di Fli) Silvano Moffa, finiano moderato, in un’intervista all’Occidentale e a domanda specifica ha sgomberato il campo dall’equivoco (o almeno ha provato a farlo): “E’ evidente che si tratta di un Berlusconi-bis”.
L’11 novembre Bossi esce dal faccia a faccia con l’inquilino di Montecitorio spiegando che Fini non ce l’ha con Berlusconi e che piccoli spiragli per un nuovo governo guidato dal Cav. ci sono, anche se anche il Senatur manda “al mare” l’Udc, respingendo così la proposta finiana. Ma nel giro di pochi minuti le dichiarazioni del Senatur vengono smontate dalla frase sibillina del capo di Fli: “La situazione è più complessa di come la descrive Bossi”, affidando ai suoi le interpretazioni che vanno tutte in un’unica direzione: no al Berlusconi-bis. Ieri Benedetto Della Vedova ha detto un’altra cosa ancora: “Le possibilità di un governo forte e all’altezza dei problemi ci sono tutte, con o senza Berlusconi”. E sempre ieri il pasdaran Granata ha rilanciato: “Certo che voteremo la sfiducia a Berlusconi, non c’è alcun dubbio su questo. I motivi stanno nella dinamica politica di questi mesi e tutto ciò che è avvenuto ci ha confermato della volontà che l’Italia abbia bisogno di un governo diverso con un’agenda politica che non abbia sempre e comunque al primo punto soltanto le vicende giudiziarie del premier”.
Tono perentorio ma non chiarificatore perché non neppure lui dice se Fli voterà il testo di Bersani e Di Pietro, se presenterà una mozione propria o se si accoderà a quella di Casini e Rutelli. Ma allora, qual è la versione valida e soprattutto quella definitiva? Il dilemma sul che fare il 14 dicembre a Montecitorio che sta agitando i pensieri di alcune ‘colombe’ futuriste (che tuttavia in questa fase preferiscono restare coperte e allineate) muove anche da qui e dalla convinzione che a questo punto Fini abbia tirato troppo la corda mettendosi con le sue mani in un cul de sac.
Meglio se a Perugia avesse tenuto il punto sulla discontinuità – è il ragionamento – ma senza chiedere la testa del premier, semmai condizionando sui contenuti futuristi l’azione del governo magari con un sostanzioso rimpasto che avrebbe riguardato nuovi innesti finiani e centristi. Ma tant’è. Oggi, invece, il quadro è quello di un Berlusconi determinato a respingere ribaltoni e manovre di Palazzo seguendo l’unica via possibile se i numeri a suo favore non ci saranno, cioè il voto. Su questo messaggio netto, sta recuperando il consenso dell’elettorato ed è chiaro che questa sarà la carta sulla quale calibrerà la campagna elettorale.
C’è infine un altro aspetto sul quale la posizione dei futuristi resta ambigua: la mozione di sfiducia al ministro Bondi firmata Bersani-Di Pietro e calendarizzata a Montecitorio il 29 novembre. Un atto che sul piano politico serve all’opposizione per radicalizzare lo scontro e sul piano del merito getta alle ortiche la mediazione di Napolitano con Schifani e lo stesso Fini sulla road map da qui al 14 dicembre. Cosa farà il capo di Fli? Finora i suoi luogotenenti hanno assicurato che non voteranno contro il ministro dei Beni culturali, a differenza di Granata che lascia intendere il contrario quando definisce Bondi “il peggior ministro” della storia repubblicana.
Poi c’è la versione possibilista ma non troppo di Bocchino: “Decideremo nei prossimi giorni, comunque noi non vogliamo cogliere l’occasione della mozione di sfiducia contro Bondi o della mozione per il ritiro delle deleghe del ministro Calderoli per scatenare una guerriglia. Abbiamo posto una questione seria, per cui ci interessa l’appuntamento del 13 e 14 non la guerriglia su una cosa minore. Bisogna rendersi conto che quando si mette in discussione il governo, non è importante affrontare una questione come quella di Bondi che è veramente minimale”. Della serie: vorrei ma non posso.
A meno che, è il ragionamento nei ranghi pidiellini, l’iniziativa di Bersani&co non venga utilizzata dai finiani per provocare un incidente nuovo prima del varo della Finanziaria per rimettere in pista l’idea di un governo tecnico che lo stesso Napolitano non pare intenzionato a benedire senza Pdl e Lega.
Il punto è che al netto dei tatticismi e delle guerre di posizione nessuno hanno capito cosa realmente sia cambiato per Fini e i suoi nel giro di un solo mese, cioè da quando la pattuglia futurista rinnovò in Parlamento la fiducia al premier sui cinque punti programmatici.
In sostanza, nonostante le reprimende mediatiche sui ritardi di Palazzo Chigi rispetto a quell’impegno, i futuristi non hanno ancora spiegato per filo e per segno perché a fine settembre questo governo andava bene e oggi non più.
Che a far precipitare tutto sia stato il caso Ruby? Francamente eccessivo per mirare dritto contro un governo e ribaltare il voto popolare. A questo punto Fini dovrebbe parlare chiaro, almeno per un volta. E non dal pulpito di Saviano e Fazio declamando le virtù della nuova destra, ma in Parlamento e davanti agli italiani.