Tra cene correntizie e riunioni tattiche il Cav. è furioso e il Pdl in crisi di nervi
11 Aprile 2011
Febbre alta nel Pdl. Appetiti politici e cene tattiche. Correnti, gruppi, sottogruppi che si compongono e scompongono a seconda del ‘tempo che fa’ o della ‘battaglia’ da condurre. Il bollettino meteo dalle parti di via dell’Umiltà segnala turbolenze in aumento proprio nella fase in cui il partito avrebbe bisogno del massimo livello di coesione. L’insofferenza del Cav. è direttamente proporzionale, al punto che nell’arco di ventiquattrore ci sono voluti ben due richiami all’ordine.
Il Cav. è furibondo anche perché la congiuntura ‘astrale’ non è delle migliori: guerra in Libia, emergenza immigrazione col muro di Francia e Germania e il no arrivato giusto ieri dal Consiglio europeo all’accesso nell’area Schengen degli immigrati col permesso di soggiorno per motivi umanitari e l’insofferenza della Lega col rischio che nel corpaccione dell’alleato di ferro si risvegli l’atavico euro-scetticismo, l’economia da rimettere in moto e le riforme da fare, giustizia e architettura istituzionale in testa. Non è certo cosa di aggiungere nel calderone anche i dissidi interni al partito, cioè coltellate in famiglia.
Nel week end il primo ‘avviso ai naviganti’. Berlusconi non ha nascosto la testa sotto la sabbia, sa che le anime del partito sono in fermento chi per una questione chi per l’altra, e di partito ha assicurato che tornerà ad occuparsi in prima persona ‘dopo la vittoria alle amministrative’ (altro messaggio, della serie: invece di litigare massima coesione per non mancare l’obiettivo che inevitabilmente e con le dovute proporzioni, rappresenta un primo test su governo e maggioranza). Il secondo ‘avviso ai naviganti’ è indiretto. Domenica dalle colonne de Il Giornale l’editoriale di Giuliano Ferrara, ascoltatissimo consigliere del Cav. è parso ai più ‘ispirato’ soprattutto nel passaggio del sogno raccontato dal direttore de Il Foglio dove si evoca un premier irritato che avverte i suoi: “Se continua così lascio con la stessa rapidità con la quale sono sceso in campo”.
La cosa che non gli va giù è che nell’incrocio dei movimentismi interni, nello scacchiere delle geometrie variabili (ex An versus ex Fi ma pure all’interno dei due ex partiti) ci sia chi continui a pensare al dopo-Berlusconi e a questo si stia attrezzando per tempo, nonostante il collegiale, unanime e reiterato ‘no il capo è lui e non si tocca’. Fatto sta che pure questa settimana le cene di corrente (più o meno carbonare) sono l’allegato dell’agenda politica e parlamentare. Se la settimana scorsa la ‘performance’ alla Camera di Ignazio La Russa (dopo l’aggressione verbale subita davanti a Montecitorio col popolo viola, democrat e dipietrista a lanciare monetine) aveva riacceso i maldipancia di quanti non ne gradirebbero l’iperattivismo e soprattutto il doppio incarico di ministro e coordinatore nazionale del Pdl (vedi la componente Liberamente che fa capo ai ministri Frattini, Gelmini, Prestigiacomo, Carfagna e alla quale guarderebbe con un certa attenzione pure il ministro Fitto) e le riunioni della corrente di Gianni Alemanno (non solo per sciogliere la questione Mantovano poi risolta con le dimissioni del sottosegretario rientrate dopo la firma dell’intesa sui rimpatri con la Tunisia e il piano di redistribuzione degli immigrati anche al centro-nord), la settimana che si è appena aperta ripropone lo stesso schema: mercoledì, d-day alla Camera sul processo breve, cena degli scajoliani (una sessantina i parlamentari fedelissimi) e nuovo summit degli alemanniani (una ventina tra Montecitorio e Palazzo Madama).
A questo si aggiunge il rendez-vous serale al Majestic della corrente Liberamente che nei giorni scorsi ha fatto rialzare il termometro delle fibrillazioni interne: in questo caso si sarebbe trattato di un punto non solo sul partito ma in particolare sul ministro Tremonti sul quale ciclicamente si appuntano i malumori per quella che viene considerata l’eccessiva rigidità mantenuta sui cordoni della borsa. Rigore va bene, conti pubblici in ordine lo stesso, ma le risorse da distribuire arrivano col contagocce e vengono centellinate col misurino: troppo poco – è il ragionamento dei movimentisti – soprattutto adesso che Berlusconi vuole mettere mano alla riforma fiscale. Movimenti dalla parti del sindaco Alemanno che coi suoi sta lavorando per ritagliarsi sempre più un ruolo di livello nazionale che vada oltre i confini di Roma Capitale e possa tenerlo in pole position per il futuro, soprattutto ai vertici del partito. Di qui la girandola di riunioni e i contatti anche con i finiani che molti nel Pdl guardano con sospetto.
Insomma tattiche di posizionamento.Come quelle che molti ascrivono alla componente formigoniana Rete Italia che solo pochi giorni fa si è ritrovata in un convention per parlare di ciò che non va e di ciò che va fatto per ‘rivitalizzare’ il Pdl. E come se non bastasse c’è l’area del ministro Galan che tuona – “il Pdl ha tradito lo spirito di Fi” – e annuncia di lavorare per far sì che Berlusconi riprenda il timone del partito saldamente nelle sue mani. Messaggio neanche troppo velato che rimanda alla questione del triumvirato e del coordinatore unico ma che al tempo stesso segnala ‘maretta’ tra il titolare dell’Agricoltura e Claudio Scajola convinto invece che sia ora di un uomo solo alla guida del partito, ruolo al quale candida Denis Verdini. Nel fine settimana poi, alla convention dei co-fondatori del Pdl, Giovanardi, Caldoro, Rotondi e Cutrufo hanno rivendicato una maggiore partecipazione alle scelte del partito. Mosse tattiche che si riverberano periodicamente nei ranghi pidiellini e che in un certo senso sono l’effetto, la diretta conseguenza dell’uscita di Fini e dei suoi uomini dal partito. Uno spazio che ex An ed ex Fi cercano di colmare, ma che di fatto ha rallentato il processo di integrazione tra i due partiti aprendo una competizione più ripiegata su se stessa che proiettata all’esterno e finalizzata al consolidamento del partito sul territorio.
Dai piani alti di via dell’Umiltà, Verdini getta acqua sul fuoco e parla di “alcune fibrillazioni in vista delle amministrative” e rilancia che un passo indietro del Cav. “non è ipotizzabile. Lui è il collante, lo ha dimostrato in 17 anni e lo dimostra quotidianamente”. Da Palazzo Madama, Gaetano Quagliariello avverte che adesso le priorità sono altre e non è il momento di dividersi: “Stiamo attraversando un momento cruciale, il nostro Paese e’ esposto all’emergenza immigrazione e contro il presidente Berlusconi e’ in corso un attacco violentissimo da parte di un’avanguardia politicizzata e militante della magistratura. In una fase come questa, provocare fibrillazioni interne al PdL sarebbe un atto irresponsabile". Superato quello che il vicepresidente dei senatori Pdl considera uno “snodo cruciale, ci sarà il momento per rafforzare il partito, rilanciando quella coesione e quella integrazione che negli ultimi tempi sembrano essersi affievolite”.
E il presidente del gruppo parlamentare Maurizio Gasparri dice che “non si lascia la nave per dividersi in gommoni”. Il ministro Rotondi che da ex dc di correnti se ne intende, chiosa: “ Una volta avevano una funzione, oggi invece sono una ‘finzione’ perché il Pdl è un partito “democratico-carismatico guidato da un leader – Silvio Berlusconi – che la gente vota. E’ lui a portare i voti perché è in lui che le persone si riconoscono. Quindi le correnti non servono a niente”.
Il punto o il paradosso, però è che ci sono, perfino in un partito come il Pdl nato anche per archiviare definitivamente la stagione del correntismo. Ed è difficile capire che piega possano prendere: troppi gli appetiti, per oggi e per il dopo-Berlusconi.