Tra dubbi e polemiche, gli Usa armeranno i droni italiani

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Tra dubbi e polemiche, gli Usa armeranno i droni italiani

02 Giugno 2012

L’Italia avrà i droni. Già, se tutto dovesse andare secondo le previsioni, il nostro Paese, in un futuro neanche troppo remoto, potrà usufruire di quella tecnologia militare all’avanguardia elemento imprescindibile dell’amministrazione Usa, della Nato e – verrebbe da dire – dell’intero Occidente. Le questioni geo-politiche (e strategico-militari) legate all’utilizzo degli aerei senza pilota risultano sempre più all’attenzione dei media interni e internazionali. D’altronde, non potrebbe essere altrimenti: da un lato, con la decisione del Summit di Chicago tra i ministri degli Esteri e della Difesa della Nato del 20 e 21 Maggio scorsi di dotare la base siciliana di Sigonella dei ‘Global Hawk’, droni capaci di poter sorvegliare l’intero Nord Africa; dall’altro, con il settimanale americano Newsweek, a rivelare l’esistenza di una vera e propria ‘Kill List’ dell’amministrazione Obama, volta a individuare e uccidere in giro per il mondo, mediante gli aerei senza pilota, i nemici giurati degli Stati Uniti. Ora, con la recente scelta della Casa Bianca di vendere all’Italia missili e bombe a guida laser propedeutici all’armamento dei droni di tipo ‘Reaper’, una versione ancor più potente del modello ‘Predator’.

Andiamo con ordine. Lo scorso Aprile, l’amministrazione Obama ha inviato una prima notifica alle commissioni competenti del Congresso sulla volontà di procedere alla vendita dei droni all’Italia. Entro 40 giorni, il Congresso avrebbe dovuto consegnare alla Casa Bianca eventuali obiezioni. Ciò non è accaduto. Il termine è scaduto il 27 Maggio senza che il Congresso ponesse in essere alcun veto o riserva.

Il Wall Street Journal di martedì 29 Maggio, con un articolo a cura di Adam Entous (‘US Plans to Arm Italy’s Drones’), ha voluto raccogliere le dichiarazioni del portavoce del Pentagono, Wendy Snyder: “L’Italia è un forte partner – ha affermato la portavoce – e un alleato che contribuisce in modo significativo alle operazioni americane e sotto egida Nato”. E ancora: “Il trasferimento di materiale militare all’Italia la renderà capace di sostenere e contribuire alle operazioni che proteggono non solo le truppe italiane ma anche quelle degli Stati Uniti e degli altri partner”. La compravendita, quindi, non rappresenterebbe altro se non il rafforzamento delle capacità degli alleati di condurre a termine operazioni militari ‘in proprio’. Ma v’è di più: secondo le stime del Teal Group – società d’analisi delle dinamiche mercatiste – il mercato dei droni sarebbe destinato a una crescita inesorabile, tale da raggiungere nel 2017 un bacino di 5.8 bilioni di dollari.

Di tutt’altro tenore, la posizione della senatrice democratica Dianna Feinsten, capo della Commissione Intelligence: “L’alta tecnologia americana non dovrebbe essere condivisa. Sono molto preoccupata dalla proliferazione di questi sistemi d’arma e non penso che dovremmo venderli”. Lapidaria, la senatrice. Infatti, vendere tecnologia militare non più esclusivamente all’eterno alleato britannico, allo ‘special case’ d’Oltreoceano, getta sul tappeto del dibattito l’incognita della diffusione di questo genere di tecnologia al di fuori dei confini statunitensi.

Diverrà sempre più difficile, dopo aver armato l’Italia, negare la vendita degli aerei senza pilota agli altri alleati, tra l’altro, in determinati casi, ancora di ‘dubbia’ affidabilità. Un caso su tutti: la Turchia. Ankara agogna i droni ‘Reapers’ e la Casa Bianca parrebbe sul punto di accontentare tale richiesta, dimenticandosi – o fingendo di dimenticare – le tensioni anche molto recenti (su tutti si veda il caso di Cipro, ndr) con Israele. Senza contare un’ipotesi ulteriore: con ogni probabilità, i ‘Reapers’ servirebbero ad Ankara per colpire i separatisti Curdi.

John Brennan, invece, consulente anti-terrorismo dell’amministrazione Usa, la vede in questo modo: “Nella misura in cui l’amministrazione Obama e il suo team utilizzano questa tecnologia, creano un pericoloso precedente. Anche altri Stati vorranno seguire questo esempio. Molto spesso si tratta di Paesi che non condividono i nostri interessi o che non proteggono la vita umana al nostro stesso modo”. Al di là della Turchia, alleato della Nato, anche Russia e Cina potrebbero molto presto costruirsi i propri droni, da usare contro i rispettivi movimenti separatisti. Una corsa agli armamenti e, evidentemente, un problema politico non di poco conto.

In altre parole, ciò che doveva assumere le sembianze di una semplice compravendita di tecnologia militare, sta scatenando numerose polemiche all’interno delle istituzioni americane, portando altresì alla luce questioni geo-politiche di non facile risoluzione. Per il nostro Paese, invece, l’acquisto dei droni rappresenta una vittoria. Militare e politica.