Tra i musulmani d’America cresce l’estremismo: ecco l’imam al-Asi
27 Agosto 2010
Nell’Università di Irvine, California, l’associazione Muslim Student Union (MSU) ha costituito una “mini ummah” all’interno del campus diventato una caratteristica vetrina per immelmare Israele, l’America e il mondo occidentale, mantenendo però, sempre un certo livello. Infatti, alla “Settimana Sionista” o al seminario "Hamas: the People’s Choice", piuttosto che a quello intitolato“Israel: The Politics of Genocide” o ad "Israele: il quarto Reich", partecipano illustri ospiti musulmani, come Muhammad al-Asi o Amir Abdel Malik Ali. Durante la "Settimana sionista", sarebbe stato possibile ascoltare il sermone del sedicente imam al-Asi: "Se l’unica cosa che gli israeliani, i loro mentori e il loro sponsor a Washington capiscono è l’uso della forza, allora è questo il linguaggio che dobbiamo usare: tutto ciò che è stato preso con la forza può essere riconquistato con la forza".
Muhammad al-Asi è cittadino americano, nato nel Michigan, islamico radicale e ospite frequente nei campus universitari degli Stati Uniti, Canada ed Europa; grande ammiratore del defunto Ayatollah Khomeini, firma del magazine antioccidentale Crescent International, per diversi anni è stato a capo della Muslim Community School e dell’Islamic Education Islam nel Maryland, mentre oggi si presenta come guida spirituale dell’Islamic Center a Washington DC. Detesta gli ebrei (“la cultura ebraica è deviante e perversa”) e lo Stato di Israele, una “passione” che lo portò a collaborare con il neo-nazista Ahmed Huber per diffondere copie della fatwa lanciata da Khomeini contro il romanziere Salman Rushdie e audiocassette in cui lo stesso Khomeini veniva esaltato come un novello Hitler. Lo riporta Michael A. Leeden, Freedom Scholar alla Foundation for Defense of Democracies, nel libro Iran. Stato del terrore (Boroli editore, pagina 63).
Nonostante il libro sia stato pubblicato tre anni fa è ancora amaramente attuale. Al-Asi fa viaggi regolari in Iran per incontrare funzionari governativi e stando a un rapporto del Washington Post, è sotto costante sorveglianza da parte del governo degli Stati Uniti. Una volta arrivato a Teheran, però, al-Asi ha preferito cambiare valuta visto che la moneta dell’antisemitismo nel paese di Ahmanidejad è deflazionata. Malgrado le evidenti divisioni all’interno del regime khoeminista, Israele resta sempre e comunque il nemico che unisce (come in Italia per il Cav. e Fini, anche se da ull’opposto angolo visuale rispetto a Teheran. Quindi, per fare audience al-Asi trova un altro argomento: l’antiamericanismo in salsa islamista. Avvicinato da un giornalista del quotidiano Tehran Times, si dichiara di essere infelice, insoddisfatto degli Stati Uniti: “c’è molta ostilità e astio verso i musulmani, troppo. Questo si traduce nelle politiche governative invasive e atte a rubare le risorse dei musulmani: la società americana è razzista. L’Iran è diventato bersaglio delle sanzioni occidentali perché è più avanti degli altri paesi musulmani nella tecnologia, nella ricerca scientifica, nel progresso”. Peccato, però, che il paese della lapidazione con le pietre piccole, delle piazze con gli impiccati o della“tortura bianca” non eccella nel campo dei diritti umani (da vedere, a settembre, il docu-film Iranium).
Negli Stati Uniti, comunque, al-Asi non è il solo ad incensare il progresso raggiunto, a suon di mazzate, dalla repubblica della rivoluzione islamica del 1979. Un altro fan del Khomeini system è l’imam Feisal Abdul Rauf, il responsabile del progetto per la costruzione del centro culturale Cordoba House. Lo evidenzia ancora una volta Ledeen, che dal suo blog Faster, Please! è lapidario: “L’imam Rauf è un sostenitore del tirannica Repubblica islamica dell’Iran”. La notizia prende spunto da un articolo del 12 giugno scorso, pubblicato dal giornale liberal The Huffington Post, a firma dello stesso Rauf . Nell’articolo, il costruttore di ponti e di moschee, si mostra soddisfatto delle elezioni che si erano appena svolte in Iran, quando migliaia di manifestanti sono stati torturati e uccisi in tutto il paese. Per l’imam Rauf, infatti, le violenze sui dissidenti il regime dovevano essere interpretate come un dolore preparto “utile al popolo iraniano per far vivere i propri ideali e parte del processo di democratizzazione dell’Iran” e continua : “Per questo gli Stati Uniti devono riconoscere l’esito delle elezioni”. Insomma, per Rauf c’è da innamorarsi del terreno istituzionale e politico realizzato da Khomeini. L’imam di New York è talmente persuaso dai principi guida della rivoluzione del 1979 che nel sito del Centro Culturale Cordoba House troviamo una sezione intitolata Shariah Index Project : un piano di lavoro per trapiantare la sharia anche negli USA.