Tra i silenzi di Fini e le sgomitate di Rutelli c’è il dilemma di Casini sul Cav.
11 Gennaio 2011
Il silenzio di Fini, la sgomitata di Rutelli, il dilemma di Casini. Tre facce della stessa medaglia, anzi dello stesso polo, il terzo. Che per ora è un cartello elettorale con l’ambizione di diventare ago della bilancia tra centrodestra e centrosinistra ma con la realistica e poco edificante prospettiva di chi sta insieme per necessità (elettorale), non per virtù (politica). E la loquacità quotidiana del leader Udc segnala che il collante della costruenda coalizione non è poi così solido. Sul fronte della maggioranza c’è una novità: il gruppo parlamentare dei ‘responsabili’ esiste e sarà ufficializzato in settimana.
Se si guarda in controluce, nell’alleanza Casini-Fini-Rutelli-Lombardo ci sono divergenze evidenti, di stile e di contenuto. A cominciare dalla mozione di sfiducia a Bondi (la prossima settimana) sulla quale Rutelli spinge il terzo polo a presentare una mozione propria (oltre a quella di Pd e Idv) considerando “fallimentare” l’operato del ministro dei Beni Culturali (i maligni di Palazzo, invece, rumoreggiano che l’ex margherito alzi la posta perché mirerebbe alla poltrona più alta del dicastero in cambio di un patto di non belligeranza col Cav.). Casini, invece, non è dello stesso avviso e lo si capisce quando, incalzato dai cronisti, passa la ‘palla’ a Buttiglione e Rutelli incaricati “si approfondire la questione”. Un modo per non esporsi apertamente in una fase cruciale nella quale l’ex presidente della Camera sta pesando col misurino le proprie mosse: da un lato media con la maggioranza, dall’altro vuole tenersi le mani libere.
Il punto è che non ha intenzione di far cadere il governo a differenza di Rutelli che ieri lo ha dichiarato pubblicamente, perché non vuole le elezioni, ma è anche convinto che la costruzione del terzo polo può essere la via per non rimanere ‘scoperto’ in caso di voto anticipato. Un dilemma, insomma, nel quale si insinua anche il malumore di molti deputati centristi che rivendicano la loro appartenenza al centrodestra e non tollerano più una posizione ondivaga, tantomeno il flirt a fasi alterne col Pd. Un dilemma che Casini deve risolvere in tempi brevi anche per scongiurare il rischio di perdere altri deputati dopo la fuoriuscita dei siciliani di Mannino e Romano. Tant’è che l’idea del ‘patto di pacificazione’ sembra più un messaggio a Berlusconi che un’offerta agli italiani e al tempo stesso un modo per superare quella sorta di idiosincrasia a confrontarsi direttamente col premier. Ci arriva per un’altra strada il leader dei centristi. Come a dire: se porti in Parlamento provvedimenti condivisibili noi li sosterremo. Insomma, una specie di appoggio esterno dietro l’aurea dell’impegno di responsabilità verso il paese.
Esempi pratici? Il testamento biologico anzitutto, sul quale si misurerà la compattezza del terzo polo specialmente nella componente dei futuristi, ma pure su provvedimenti ‘minori’ quali la ratifica del trattato col Brasile su cui i centristi sono d’accordo (al netto del caso Battisti sul quale il Pdl ha presentato una mozione alla Camera e al Senato). Quanto al federalismo, appare chiaro come Casini abbia manifestato un’apertura e la mediazione messa in piedi da Baldassarri, Lanzillotta e Galletti approvata pure da Calderoli è un elemento significativo. Come pure le parole che ieri Casini ha usato per ribadire il concetto: “Se ci saranno provvedimenti positivi noi li voteremo. Se anche il governo accetterà le nostre proposte positive, si creerà un clima migliore. Domani c’è una mozione unica sulla difesa dei cristiani e per me questo è molto positivo”.
Atteggiamento aperto poi sul legittimo impedimento tanto che nei corridoi di Montecitorio non si esclude la possibilità che in caso di bocciatura della legge da parte della Consulta, l’Udc sia pronto a ripresentare un provvedimento analogo per garantire uno ‘scudo’ al premier. Quanto alla revisione della legge elettorale, tema ormai uscito dal dibattito politico, la posizione centrista non sembra poi così intransigente se pur ribadendo che per l’Udc “è un punto fondamentale”, Casini ammette che “è una nostra opinione ma non possiamo imporla agli altri”.
Certo è che la disponibilità del leader Udc verso la maggioranza contrasta col filo riannodato con Fini: i due non si sono parlati per un anno dopo il veto del leader di An posto proprio su Casini (e Storace) subito dopo la svolta del predellino per il suo ingresso nel Pdl. Ora è Fini a dover pagare il dazio, non solo per la sconfitta subita con la mozione di sfiducia ma anche per il ‘vantaggio’ politico che il capo dei centristi può vantare nelle relazioni con la maggioranza, pure nella prospettiva di un’alleanza elettorale dopo il 2013. Dall’altra parte, Casini non può sconfessare l’alleanza con Fini e Fli.
La svolta per uscire dal dilemma ci sarà probabilmente il 23 gennaio, dopo il varo del decreto attuativo del federalismo. Casini ha chiesto il quoziente familiare e se Berlusconi riuscirà a far aprire a Tremonti i cordoni della borsa, otterrà un convinto sostegno centrista e un’ulteriore garanzia di stabilità per portare a termine la legislatura. A quel punto bisognerà vedere che fine farà il terzo polo. Al terzetto Casini-Fini-Rutelli si aggiunge Lombardo che ieri ha avuto una girandola di incontri tra maggioranza, terzo polo e opposizione. Prima da Berlusconi probabilmente per incassare sostegno alla sua giunta messa in piedi col Pd al posto del Pdl, poi col presidente della Camera per ribadire che l’Mpa sta nel terzo polo e per finire con D’Alema, evidentemente per chiedere un’intercessione che metta un freno alle ‘grane’ locali che l’alleanza con la sinistra gli sta procurando. Anche in questo caso il collante terzopolista non sembra poi così a lunga tenuta.
Se Casini pensa al che fare, la maggioranza incassa il sostegno di un nuovo gruppo parlamentare che nei prossimi giorni si insedierà alla Camera. E’ il gruppo dei ‘responsabili’ capitanato da Moffa e Romano sul quale in queste settimane molto si è detto e si è scritto soprattutto per il toto-deputati in fuga da Fini, Casini, Di Pietro e Bersani. Adesso i numeri ci sono: venti-ventidue parlamentari e senza bisogno di ‘prestiti’ dal Pdl che garantiscono lealtà al governo ma che dal punto di vista ‘tecnico’, cioè numerico, rappresentano la chiave per andare avanti evitando un nuovo vietnam parlamentare. In particolare l’apporto dei ‘responsabili’ sarà importante non solo in Aula quando si vota, ma soprattutto in quelle commissioni dove la maggioranza non ha i numeri.
Sarà questa la terza gamba del centrodestra come annunciato da Berlusconi? Al momento pare di sì. Il vero paradosso è che solo qualche mese fa l’opportunità il Cav. l’aveva offerta su un piatto d’argento a Fini (nell’ultima direzione nazionale del Pdl) che per tutta risposta lanciò l’anatema futurista dalla tribuna anti-berlusconiana di Bastia Umbra, condannandosi, di fatto, al destino politico di eterno secondo: non più di Berlusconi ma addirittura di Casini.