Tra il dire e il fare c’è di mezzo la Bona-fede
03 Settembre 2018
Come capita anche agli orologi rotti, al suo esordio di fronte al Csm il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ne aveva detta una giusta: i magistrati che abbiano intrapreso un impegno politico non devono tornare a indossare la toga. Ne va dell’esigenza che l’esercizio del potere giudiziario sia, e appaia, imparziale.
Il tema non è scontato: giudici e pubblici ministeri, infatti, non sono liberi professionisti né contrattisti ma vincitori di concorso, e dunque titolari del diritto alla conservazione del posto di lavoro dal quale si mettono in aspettativa per tutta la durata del mandato politico-istituzionale. La soluzione tuttavia c’è, ed è abbastanza banale: è sufficiente che i magistrati avvinti dal sacro fuoco della politica, invece di essere reinseriti in ruolo, vengano destinati ad altri incarichi nella pubblica amministrazione adeguati alla loro professionalità. Qualche esempio? L’avvocatura dello Stato, oppure gli uffici amministrativi del ministero della Giustizia.
Lo si dice da tanto, e finalmente il pentastellato guardasigilli sembrava intenzionato a passare ai fatti. In attesa tuttavia che fra agenti provocatori e abolizione della prescrizione arrivi il momento giusto per occuparsi di questa norma di civiltà, si è presentato all’attenzione di Bonafede un caso concreto. Si dà il caso infatti che il magistrato Anna Finocchiaro, dopo una lunghissima esperienza parlamentare e governativa nelle file del centrosinistra conclusasi con la fine della scorsa legislatura, avesse fatto domanda per essere destinata al Dipartimento per gli affari di giustizia del ministero di via Arenula con funzioni amministrative.
La richiesta, a dire il vero, tecnicamente era arrivata a elezioni politiche già svolte a firma dell’allora guardasigilli Andrea Orlando ormai in regime di ordinaria amministrazione. E bene avrebbe fatto il Csm ad attendere la formazione del nuovo governo prima di dare il via libera al collocamento fuori ruolo della ex senatrice Finocchiaro (delicatezza che l’organo di autogoverno, a sua volta in scadenza, non ha avuto). Ma altrettanto incomprensibile, o fin troppo comprensibile, è stata la scelta del nuovo ministro Bonafede di dare semaforo rosso all’operazione.
Si può capire, infatti, che il pentastellato non abbia gradito lo sgarbo e che non coltivasse come sua massima aspirazione quella di avere nei gangli del suo ministero un’esponente di lungo corso del Partito democratico. Ma il risultato è che ora Anna Finocchiaro tornerà a indossare la toga. Chi l’ha conosciuta in Parlamento sa che ha doti di serietà ed equilibrio che le consentiranno di svolgere con correttezza il suo mestiere. Ma agli occhi dei cittadini l’imparzialità anche apparente dell’amministrazione della giustizia se ne andrà per l’ennesima volta a far benedire. Proprio ciò che il ministro Bonafede aveva giurato non sarebbe mai più accaduto.