Tra il dramma di Brindisi e il flop del G8 c’è il vuoto della politica e dei governanti
21 Maggio 2012
Si respira un’aria malsana in Italia. L’attentato di Brindisi l’ha resa più acre. Sembra che si stia come sospesi nell’attesa di qualcosa che deve accadere. Ed il disordine che ci assedia non fa che acuire un malessere profondo sedimentatosi dentro di noi come un dolore acuto dal quale non riusciamo a liberarci.
Abbiamo negli occhi il sorriso luminoso di una sedicenne spentosi in un tragico mattino di maggio, violentemente. Quel sorriso ci ricorda sogni spezzati, speranze svanite, domani che non canteranno. Leggiamo poi parole che suonano vuote, terribilmente vuote, dette, per esempio, a Camp David nel corso dell’inconcludente (come sempre) riunione del G8. Parole che stridono con la nostra condizione di avviliti frequentatori di ordinarie disperazioni: i suicidi di imprenditori che non ce la fanno, di operai che perdono il lavoro, di ragazzi che abbandonano la scuola e si rifugiano nelle cosche criminali, di famiglie diseredate che vivono di espedienti, di ricchi che diventano sempre più ricchi speculando sulla miseria degli altri, dei conflitti sociali che minacciosamente ritornano a ricordarci che nulla è cambiato rispetto a venti, trenta, quaranta anni fa se non la condizione morale peggiorata e scaduta nel più sfrenato relativismo etico.
La bomba contro una scuola davanti alla quale si accascia senza vita una ragazzina che in un attimo smette di fissare il suo pezzo di cielo popolato di amori e di progetti ci racconta la storia di un Paese diventato orribile, attraversato da demoni indomabili, sovrastato da incubi che si ripresentano puntualmente ogni qualvolta i suoi destini diventano più foschi. Non mancano, come sempre del resto, gli imbecilli che ci regalano dichiarazioni sconnesse e banali che invece di rincuorarci ci deprimono maggiormente. E’ obbligatorio, come una dannazione biblica, che qualcuno in queste livide stagioni rivolga intemerate moralistiche all’indirizzo di fantasmi costruiti da chi dovrebbe provvedere alla sicurezza dei cittadini e non lo fa. La legalità non la si può schiaffeggiare, viene detto e ripetuto ossessivamente. Ma chi dovrebbe provvedere a tutelarla non sembra che abbia poi il coraggio e la capacità di fare un po’ di autocritica. Il lavoro non deve mancare: altro assunto dell’ipocrisia nazionale, ma se non ce n’è come si fa a trovarlo, a crearlo?
A Camp David certamente non se la sono posta la domanda. Tra i disperati di Brindisi fa il paio con l’interrogativo sulla morte oscena di Melissa.
All’incrocio tra un lutto e molte chiacchiere si dipana il nostro mesto presente segnato da un’inquietudine che non pare avere sbocchi. Fino a quando non si comprenderà che la crisi nella quale siamo avvolti non è soltanto economica, continueremo a trascinarci il fardello sempre più pesante delle nostre angosce in attesa che qualcuno, chissà quando e chissà come, ci liberi dalla cappa di disperazione divenuta insopportabile. E’ un’aspirazione, naturalmente, che non può diventare pretesa per il semplice fatto che mancano i presupposti per un rovesciamento dello stato delle cose.
Forse non siamo ancora arrivati al punto di non ritorno, laddove nessuno ha più niente da perdere, perché un moto di resipiscenza da parte delle classi dirigenti e dei cittadini comuni si manifesti. Di per sé questa circostanza non è un male dal momento che indica che ancora c’è un margine per rinsavire. Tuttavia è preoccupante che la cultura e la politica non dimostrino adeguata consapevolezza e provassero a ad impegnarsi in una pacificazione nazionale tesa a dare uno scopo agli italiani, a fargli insomma intravvedere un destino. Nel solo modo possibile: trasformando le oggettive differenze in pluralità di idee convergenti nel rappresentare la coesione sociale ben oltre lo spirito di parte.
Ha qualcosa da spartire il malessere che avvertiamo con l’incanaglimento della vita pubblica? Credo proprio di sì. Sfugge ai più che la diversità delle posizioni non deve necessariamente favorire la radicalizzazione della lotta delegittimando chiunque, diffamando ed infamando, respingendo aprioristicamente qualsiasi proposta minimamente sensata. Non credo che la proliferazione degli odianti nell’ultimo ventennio abbia fatto progredire la nostra convivenza civile. Nelle scuole, nelle fabbriche, negli uffici, nella vita pubblica ed in quella privata, attraverso i media ed i social network, con l’ausilio determinante della massificazione tecnologica si è diffusa una barbarie i cui riflessi sinistri confondono la nostra quotidianità e la rendono così incivile.
Sappiamo bene che non sarà una riforma elettorale e neppure una ben più mitica riforma istituzionale a dare finalmente un senso alle nostre esistenze, a rinnovare lo spirito comunitario, a restituire dignità alla vita associata. Ci vuole ben altro. E non lo si compra al mercato della politica che, certo, potrebbe aiutare se fosse buona politica. Può darsi che guardando nelle nostre coscienze troveremo le risposte che cerchiamo. Ma occorre che le coscienze siano almeno libere. Qualche dubbio al riguardo siamo autorizzati a nutrirlo. Perciò, forse, questa crudele primavera risulta tanto più insopportabile. Se poi, svegliandoci una mattina, scopriamo che la vita vale meno di niente, al punto di distruggerne qualcuna per niente appunto, che scopo hanno la politica e la cultura se non quello di generare un senso di vuoto che nulla vale a colmarlo?