Tra il Rubygate e il caso Matteoli le analogie non sono così evidenti

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Tra il Rubygate e il caso Matteoli le analogie non sono così evidenti

24 Febbraio 2011

Il Cavaliere di fronte a un bivio: conflitto d’attribuzione o improcedibilità? Secondo alcuni quotidiani è questo il perimetro della strategia per affrontare il processo sul Rubygate. C’è chi ha sollevato il precedente del ministro alle Infrastrutture Altero Matteoli, che secondo molti osservatori e politici è in tutto e per tutto simile al caso del presidente del Consiglio. Ma è davvero così?

Prima di rievocare la vicenda di Matteoli è bene precisare che al momento il suo dossier è al vaglio del Tribunale dei ministri,  a seguito dell’accoglimento da parte della Corte costituzionale di un ricorso della Camera che, all’epoca dei fatti, portò avanti il conflitto d’attribuzione. Ma a ben guardare le possibili analogie non sembrano così evidenti, tantomeno automatiche. Ne abbiamo parlato con Maurizio Paniz, parlamentare del Pdl e, membro della Giunta delle autorizzazioni, che nel luglio 2009 fu il relatore della domanda di deliberazione sul caso Matteoli.

Tutto iniziò nel 2003, quando Altero Matteoli ricopriva la carica ministro dell’Ambiente. Secondo l’accusa nella telefonata al prefetto di Livorno, Vincenzo Gallitto, avrebbe chiesto se la procura della città labronica avesse aperto un’inchiesta su presunti abusi edilizi all’ Isola d’Elba e se vi fosse un suo coinvolgimento. Una telefonata che costò al ministro le accuse di abuso d’ufficio e favoreggiamento. La relativa procedura, inizialmente pendente davanti alla Procura di Livorno, era stata poi passata alla Procura di Genova, perché nella stessa vicenda risultò coinvolto anche un magistrato.  La procura di Genova ritenne che gli atti fossero di competenza del Tribunale dei ministri e glieli trasmise. Il Tribunale dei ministri di Firenze, però, ritenne che non fosse stato commesso alcun reato e, pertanto, chiese l’archiviazione del caso. Ma il giudice per l’esame della richiesta di archiviazione accolse l’istanza solo per uno dei due reati, l’abuso d’ufficio: caso chiuso, dunque. Tuttavia, per il reato di favoreggiamento il gip dispose il rinvio a giudizio, senza ritenere necessario il via libera parlamentare, perché non considerava la telefonata di Matteoli un atto compiuto nelle sue funzioni di ministro.

A quel punto Montecitorio (il presidente era Fausto Bertinotti, durante il governo Prodi) sollevò un conflitto d’attribuzione – ricorda Paniz – sostenendo che il Tribunale dei ministri non avrebbe dovuto chiedere l’archiviazione degli atti senza aver prima informato la Camera stessa, che secondo l’articolo 96 della Costituzione ha il potere e il dovere di autorizzare procedimenti della giustizia ordinaria nei confronti del premier e dei ministri.

Quello promosso dalla Camera fu un vero e proprio ricorso. E la Consulta lo accolse in pieno dichiarando che solo Montecitorio poteva stabilire la ministerialità del reato commesso da Matteoli e che, pertanto, l’autorità giudiziaria doveva adeguarsi a quella valutazione. Ma nel frattempo il Tribunale di Livorno stava continuando a occuparsi della questione e quindi la Camera votò per trasferire gli atti del processo al Tribunale dei ministri, negando l’autorizzazione a procedere. Così il Parlamento decise che Matteoli aveva operato nell’interesse del suo ruolo di ministro.

A questo punto torniamo alla domanda iniziale. La vicenda giudiziaria di Berlusconi ricalca lo schema di quella di Matteoli? La risposta è no, anche nel caso in cui la Camera decidesse per prima di sollevare un conflitto d’attribuzione – strada che, secondo Maurizio Paniz, sarebbe la più giusta da seguire -, perché renderebbe i due casi simili soltanto dal punto di vista delle procedure, non della sostanza.

Ma al netto delle valutazioni di carattere generale, pare che i legali del Cav. stiano comunque valutando sia l’ipotesi del conflitto di attribuzione che quella dell’improcedibilità. In quest’ultimo caso con una mozione parlamentare votata dalla Giunta per le autorizzazioni della Camera, che potrebbe rallentare l’iter del giudizio immediato chiesto dai pm milanesi e accolto dal gip. Ipotesi, quella dell’improcedibilità, che si regge anche su quanto previsto dall’articolo 9, comma 3, della legge costituzionale numero 1 del 1989 e cioè l’insindacabilità del pronunciamento del Parlamento. Tuttavia esiste la possibilità che a sollevare il conflitto di attribuzione, alla fine, possa essere il Tribunale di Milano proprio per evitare che la questione passi a quello dei Ministri.