Tra Islam e Occidente un dialogo è ancora possibile?

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Tra Islam e Occidente un dialogo è ancora possibile?

13 Gennaio 2008

In data 21 novembre 2007, la Royal Society of
Arts di Londra – in collaborazione con il programma del Reuters Institute per
lo studio del giornalismo – ha organizzato un importante dibattito riguardante
l’incontro tra Islam ed Europa, e l’eventuale compatibilità dell’osservanza dei
precetti islamici con i principi dell’Illuminismo. Si è trattato di una
discussione tra varie impostazioni liberali, ovvero un confronto tra quegli Euro-atlantic liberals che concordano su
alcuni principi basilari ma talvolta si scontrano sulle concrete politiche
d’azione, pur sempre nel reciproco rispetto e -ancora più rilevante- uniti
nell’interesse per quella cultura occidentale che oggi rischia l’estinzione. In
quest’ottica, il confronto tra gli intellettuali che hanno aderito al dibattito
è di fondamentale rilievo nell’Europa contemporanea, toccata sempre più
profondamente dal fenomeno dell’immigrazione, corrosa dal fallimento del
multiculturalismo formale e dalla perdita della propria identità.

Ha partecipato all’evento anche la brillante
studiosa, scienziata politica ed autrice somala Ayaan Hirsi Ali, fellow dell’American Enterprise Institute di
Washington, D.C.. Hirsi Ali ha ribadito per anni -nella propria vita privata, nelle sue
attività di scrittrice e giornalista così come attraverso l’impegno nel Parlamento
olandese dal gennaio 2003 al maggio 2006- l’impossibilità di conciliare l’islam
con i fondamentali diritti umani, in particolar modo la libertà di scelta e
l’uguaglianza tra uomo e donna. In seguito all’assassinio dell’amico Theo van
Gogh, autore del cortometraggio Submission
al quale avevano entrambi lavorato, alle pressioni politiche ed alle
innumerevoli minacce di morte personalmente ricevute, Ayaan Hirsi Ali è ufficialmente
residente negli Stati Uniti dal 1 ottobre 2007, dove vive e lavora protetta da ingenti
misure di sicurezza private (informazioni sull’Ayaan Hirsi Ali Security Trust
su www.jackscamp.com).

Nel corso dell’evento sono inoltre intervenuti alcuni
tra i più noti intellettuali e giornalisti britannici e americani: il
popolare autore e giornalista statunitense Paul Berman; lo storico politico ed autore scozzese
John Lloyd, coeditore del Financial Times e fondatore dell’FT Magazine; lo scrittore anglo-olandese ed esperto di diritti
umani Ian Buruma; e infine lo
storico politico britannico e corrispondente per il quotidiano The Guardian Timothy Garton Ash. Questi studiosi hanno argomentato a favore di varie
posizioni, che spaziano dall’impossibilità di concepire un “islam moderato” al
vantaggio per l’Occidente di dare spazio alle voci maggiormente inclini al
dialogo all’interno del mondo mussulmano.

 

Nello specifico, si è rivelato particolarmente interessante l’intervento
di Timothy Garton Ash, il quale ha analizzato l’accusa di “fondamentalismo
illuminista” solitamente mossa all’Occidente non solo da alcuni islamisti, ma anche
da una parte della sinistra europea ed americana: si tratterebbe della volontà –
peraltro piuttosto sciocca, secondo il giornalista – di tracciare un
parallelismo tra il fondamentalismo islamico ed il ritorno in auge dei principi
dell’illuminismo europeo in parte dell’Occidente, che per lo studioso rischia
di conferire pari dignità morale alla condotta di possibili attentatori ed a
quella delle loro vittime.

Garton Ash riconosce per l’Occidente l’imprescindibilità da nozioni quali
le libertà civili, l’uguaglianza dei diritti, la libertà d’espressione e
l’abolizione del reato di apostasia (la possibilità di mettere in dubbio, cambiare
o abbandonare la propria religione), fondamentali e non negoziabili affinché si
possa creare una società libera. Reputa tuttavia inappropriato parlare di
“fondamentalismo illuminista”, principalmente per le difficoltà insite nella
caratterizzazione precisa di questo ed altri concetti chiave. Lo studioso
sottolinea piuttosto la necessità di impostare un serio dibattito sul vero
significato di termini quali “illuminismo” e “islam”: solo da questo punto in
avanti sarà possibile procedere nell’analisi ed eventualmente nel confronto tra
il fondamentalismo islamico e la odierna rivalutazione dell’illuminismo.

Sulla base di tali premesse, Garton Ash si domanda se sia indispensabile riconoscere
le effettive diversità insite nell’islam stesso, proprio come è possibile fare
con l’illuminismo, oppure se la via da seguire sia quella di intendere entrambe
questi concetti in senso monolitico, come vorrebbe una lettura rigida di Samuel
Huntington, giungendo inevitabilmente ad uno “scontro di civiltà”.

Secondo lo studioso, è in primo luogo da chiarire l’idea di
“illuminismo”: riprendendo un concetto esposto nel corso della discussione da
Ayaan Hirsi Ali, è infatti necessario distinguere tra l’illuminismo di Locke e
quello di Voltaire: vale a dire, tra l’illuminismo che afferma che dobbiamo
essere liberi per la religione, per dare spazio a coloro
che credono e coloro che non credono; e l’illuminismo che sostiene come
dobbiamo essere liberi dalla religione, affinché nessun dio
interferisca con la sfera pubblica. Questa distinzione rimanda a sua volta alla
differenza tra secolarismo ed ateismo in ambito politico: il primo implementa una
visione lockeiana dell’illuminismo, quella attuata negli Stati Uniti, dove la
convinzione profonda di ciò che è buono e giusto permette ad ogni dio -e a
nessuno- di tentare la sorte e far sentire la propria voce nella sfera
pubblica; mentre il secondo ricalca l’illuminismo di Voltaire, quello francese,
dove il dibattito riguarda unicamente l’organizzazione pratica dello Stato,
della società e della cosa pubblica, dai quali la divinità è esclusa. Queste disuguaglianze
non sono semplici sfumature, ed andrebbero discusse più ampiamente in Occidente
oggi per valutare vantaggi e debolezze di entrambe i paradigmi.

Difatti, Garton Ash argomenta come da questi approcci scaturiscono
rispettivamente il modello di multiculturalismo liberale del tipo vigente in
Gran Bretagna, così come lo schema monoculturale di assimilazione repubblicana,
più simile a quello francese; a prescindere dalla validità di tali
caratterizzazioni, sostiene lo studioso, oggi in Europa assistiamo al
fallimento di entrambe i modelli. In più, è importante ricordare che -sempre in
nome di questa o quella variante di multiculturalismo- innumerevoli oppressioni
sono state e vengono tuttora perpetrate da intransigenti leader di minoranze etniche e comunità religiose verso i loro
membri. A questo punto, conclude Garton Ash, la direzione nella quale l’Europa deve
procedere nell’incontro con l’islam è quella di stabilire quello che è essenziale
ed incontrovertibile per un paese libero e per l’esistenza di una società
liberale, e cosa invece non lo è.

Per quanto riguarda il mondo mussulmano, prosegue Garton Ash, l’affermazione
secondo la quale “l’islam è incompatibile con una società liberale” più volte
avanzata da Ayaan Hirsi Ali è falsa, oltre che dannosa: falsa, perché ci sono
più di venti milioni di mussulmani in Europa, e molti tra loro vivono
pacificamente integrati nel sistema liberale; dannosa, perché un tale
convincimento manca di dare il giusto peso a tutti coloro che si impegnano
affinché l’islam giunga ad un certo grado di compromesso con le società
occidentali. Possiamo chiamarli revisionisti islamici, riformatori, dissidenti
interni all’Islam: qualunque termine si adotti, ricorda Garton Ash, personaggi
come Tariq Ramadan sono certamente problematici; essi si muovono pur sempre
nella giusta direzione, portando ai giovani mussulmani d’Europa un esempio
concreto di come sia possibile gettare ponti tra un’interpretazione letterale e
conservatrice dell’islam e le basi non negoziabili del mondo libero in cui
viviamo oggi.

D’altro canto, risolve lo studioso, non sarebbe altresì corretto
dichiarare che “l’islam è compatibile con la democrazia”: tale affermazione è in
sé priva di senso, poiché parte dall’assunto che l’islam abbia un unico
significato, un’interpretazione monolitica delle proprie dottrine, quando è
evidente che questo non corrisponde alla realtà dei fatti. Si torna quindi alla
necessità di definire più chiaramente i termini del dibattito, l’illuminismo e
l’islam, dove nello studio di quest’ultima dottrina emerge il disaccordo tra
gli studiosi, gli intellettuali mussulmani, i politici e i giornalisti, che si
articola proprio sulle mille sfaccettature che l’interpretazione della dottrina
islamica può assumere. Vi sono moltissimi mussulmani che danno una versione
propria di quello che l’islam rappresenta per loro, e che sostengono come
l’islam sia compatibile con la democrazia: dovremmo certamente sostenerli ed incoraggiarli,
conclude Tim Garton Ash, affinché facciano sentire sempre più fortemente la
loro voce.

 

L’intervento di Ayaan Hirsi Ali si apre nella contrapposizione tra islam ed
Europa, ricordando che la storia dell’islam è una storia di sottomissione alla
volontà di Allah e a quella del Profeta. Invece la storia dell’Occidente inizia
in Grecia e segue costantemente il cammino verso la libertà: libertà dalla
Chiesa, dal sovrano, libertà per le donne, per i lavoratori, per gli schiavi. La
storia europea in particolare ha testimoniato nei secoli il valore della
libertà di pensiero, nonché il rispetto per la possibilità -propria o altrui- di
operare scelte, piuttosto che l’obbligo ad ubbidire e a convertire che
caratterizza la dottrina islamica. La lezione più importante dell’illuminismo,
prosegue la studiosa, è proprio la libertà di coscienza e la libertà di
esprimere la propria opinione senza paura: questi concetti vengono respinti
dall’islam, in Europa così come altrove, e oggi rischiano di essere dimenticati
anche dall’Occidente.

Nelle discussioni di storia politica sui giornali o in televisione, nota Hirsi
Ali, il Vecchio Continente ha imparato ad analizzare i fenomeni della
schiavitù, delle colonizzazioni, dell’apartheid,
della discriminazione delle donne e dell’olocausto, riconoscendo -giustamente- le
proprie responsabilità nella storia affinché gli stessi errori non si ripetano in
futuro. Nel contempo, i giovani Stati nazione dell’Africa e dell’Asia
affrontano oggi seri problemi a causa della loro bigotteria religiosa, razzismo,
tribalismo ed altre tensioni interne -è l’esempio della Liberia, del Ruanda, del
Pakistan, del Kenya. Tuttavia, la riflessione si ferma all’agire dell’Europa in
passato, limitandosi a sottolineare quanto questo sia indirettamente causa dell’odierno
stato di cose; tralascia però in maniera imperdonabile il presente, non
permettendo ai diversi gruppi etnici e sociali di condividere la responsabilità
storica, politica, sociale e morale degli avvenimenti interni ai propri Stati.
Questo porta ampie minoranze, in particolar modo quelle mussulmane, a provare
rancore e vendetta verso gli europei, i quali finiscono per nutrire un forte
senso di colpa.

Le conseguenti posizioni di autocensura e mediazione estrema adottate
dall’Europa, prosegue Hirsi Ali, a loro volta generano un atteggiamento
pernicioso che pone l’intera colpa morale della storia del mondo sulle spalle
degli stessi europei, per quanto riguarda il passato così come per il presente
ed il futuro. Questo è un modo perverso di relazionarsi agli altri, afferma la
studiosa: le minoranze che vengono trattate costantemente da vittime si
ritengono moralmente esenti da ogni responsabilità e seguitano a pensare nello
stesso modo, sentendo crescere in loro la rabbia e la vendetta. L’estrema
conseguenza di tutto ciò è che il colpevolismo europeo finisce per permettere
alle minoranze all’interno delle società liberali di sottoscrivere principi in
netto contrasto con le nozioni chiave di queste stesse società.

Indubbiamente, Ayaan Hirsi Ali non crede che tutti i mussulmani siano
fondamentalisti, né vuole affermare che un mussulmano non può vivere in una
società liberale. Pertanto, prosegue la studiosa, è importante differenziare
tra “fede fervente” e “fondamentalismo”, tra essere mussulmani e seguire l’islam,
dove quest’ultimo rappresenta una forma mentale che predica l’asservimento
dell’individuo all’autorità religiosa, che incoraggia il fatalismo e
l’inazione, che stabilisce la sottomissione della donna all’uomo e che approva
la discriminazione e la violenza. Hirsi Ali ricorda che la dottrina islamica
non concede alcuna libertà all’individuo, crede che la vera vita cominci dopo
la morte e non permette alcuna separazione tra Stato e Chiesa; all’interno
delle comunità islamiche viene detto ai mussulmani di seguire pedissequamente i
propri capi religiosi, i quali a loro volta predicano di non accettare la società liberale in cui abitano, talvolta persino
di distruggerla. È in base a tali convinzioni che l’islam si rivela
incompatibile con l’Europa, conclude Hirsi Ali: il liberalismo non può
accettare tutto questo.

Quello su cui la studiosa insiste è piuttosto la necessità di considerare
il mussulmano -proprio come qualsiasi altro individuo- una persona dotata di
ragione, che deve assumersi la responsabilità delle logiche conseguenze dei propri
pensieri ed azioni. Quasi tutti gli europei biasimano le uccisioni d’onore, deplorano
la mutilazione genitale perpetrata sulle bambine, puniscono le violenze
domestiche -questo va da sé. Ma finché l’Europa seguiterà a considerare i
carnefici come mere vittime delle proprie tradizioni, non ritenendoli
responsabili delle crudeltà da loro perpetrate, non comprenderà pienamente né
condannerà mai i principi ingiusti che muovono l’islam. Non tutti i mussulmani
picchiano le donne o mutilano le bambine. Non tutti applicano alla lettera i
versi del Corano, che comandano di picchiare la propria moglie quando questa non
ubbidisce. Ma coloro che agiscono in tale modo si basano sul Corano, ed è questo
che gli europei devono comprendere: è necessario porre in discussione queste
nozioni, non ignorarle, affinché le opinioni si modifichino e con le opinioni
cambino anche i comportamenti.

 

La testimonianza di Ayaan Hirsi Ali si scosta talvolta da quella di
Timothy Garton Ash per quanto riguarda l’analisi dell’incontro tra islam e
Europa; ciò nonostante, non è mai discordante in merito ai principi non
negoziabili alla base di una società liberale. Entrambe gli studiosi sono certi
che in Europa le cose stiano cambiando. I due intellettuali concordano sul fallimento
dei vecchi modelli di multiculturalismo, dove ad ogni minoranza veniva concesso
un diritto inalienabile alla propria cultura e tradizione, a prescindere da
quanto essa fosse compatibile con la società liberale. Inoltre, entrambe
nutrono l’incrollabile convinzione che l’Europa debba ripartire la
responsabilità per il proprio futuro equamente, tra i propri cittadini e gli
immigrati: per questi ultimi, il diritto ad un lavoro, ad un alloggio, all’istruzione,
alle cure mediche e ad un sussidio implica il dovere di integrarsi, o
quantomeno il dovere di non contrastare -o tentare attivamente di distruggere- le
basi sulle quali l’Europa si erige e le verità fondamentali nelle quali crede.