Tra NATO e Russia la Georgia ha già scelto (ma Mosca non ci sta)
16 Gennaio 2010
Durante l’estate 2008, l’ekecheiria (tregua) olimpica cinese fu squarciata allorché le continue tensioni tra Russia e Georgia – crisi spionistica nel settembre 2006; lancio di missili russi sul territorio georgiano nell’agosto 2007; aerei spia georgiani abbattuti dall’aviazione russa in Abkhazia nel maggio 2008 – sfociarono in conflitto aperto in Ossezia del sud, enclave separatista sostenuta da Mosca. A causa della sua conformazione montagnosa, questo minuscolo territorio – poco adatto anche al passaggio di oleodotti e gasdotti – non è mai stato caratterizzato da una valenza strategica rilevante. Tuttavia, è proprio qui che la Georgia e il suo incombente vicino a nord hanno dato vita a un regolamento di conti che da troppo tempo era in sospeso.
Già all’indomani della caduta del Muro di Berlino, infatti, Mosca aveva dimostrato di mal sopportare la costante manovra di avvicinamento di Tbilisi all’Occidente. Membro della Partnership for Peace della NATO a partire dal 1994 e del Consiglio d’Europa dal 1999, la Georgia si stava inesorabilmente staccando dalla sfera di influenza russa, manovra estremamente temuta da Mosca, da sempre timorosa di perdere il controllo del suo cosiddetto “estero vicino” e di finire accerchiata dalle forze dell’Alleanza Atlantica. Rivendicando il diritto di difendere gli indipendentisti abkhazi e osseti, la Russia ha tentato, di recuperare la supremazia perduta nel Caucaso dopo la dissoluzione dell’URSS, anche in considerazione della rilevanza energetica del territorio georgiano. Negli ultimi anni infatti, la Georgia è divenuta il crocevia di gasdotti e oleodotti che portano energia dal Mar Caspio all’Europa: il più importante di questi è l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan, unico a non attraversare il territorio russo. L’inaugurazione di quest’ultimo da parte di Condoleezza Rice, nel luglio 2006, ha evidenziato ancora di più la sua importanza.
Il conflitto terminò con un accordo siglato l’8 settembre 2008 tra il Presidente russo Medvedev e il Presidente di turno dell’UE Sarkozy con il quale si decideva di dispiegare una missione civile europea di monitoraggio, la European Union Monitoring Mission (EUMM), composta da circa duecento osservatori a partire dal primo ottobre 2008. Con una durata iniziale di due mesi (poi regolarmente rinnovati) e un budget di 31 milioni d’euro, alla missione europea era stato assegnato il compito di monitorare la ritirata delle truppe russe dalle «zone adiacenti all’Ossezia del Sud e all’Abkhazia» e di sorvegliare il terreno per un ritorno tempestivo alla pacifica convivenza tra le parti. L’EUMM sta però svolgendo il suo lavoro in condizioni tutt’altro che facili, vista l’atmosfera di pace congelata che si respira nell’area a quasi un anno e mezzo dal conflitto. Basti pensare che le missioni di monitoraggio dell’OSCE e delle Nazioni Unite sono state di fatto silurate da Mosca. L’EUMM è pertanto la sola missione internazionale credibile e imparziale rimasta in loco.
Sul versante interno georgiano, la situazione sembra collocata ormai stabilmente lungo la fase discendente della cosiddetta “curva dei conflitti”, che segna, tra le altre cose, il cruciale momento di ricostruzione della fiducia istituzionale necessario per una ripresa delle attività dello Stato colpito dalla guerra nonché il prodromo dell’ingresso in Organismi internazionali quali l’Alleanza Atlantica o l’Unione Europea.
Proprio in questa prospettiva, la visita estiva a Tblisi del Vice Presidente americano, Joseph Biden, doveva servire a rafforzare la special relationship che lega Stati Uniti e Georgia e che Mosca non fa mistero di digerire sempre meno. Anzi, in quell’occasione il Cremlino si espresse molto duramente, parlando tramite l’ambasciatore russo presso l’Alleanza Atlantica, Dmitri Rogozin. Il Cremlino minacciò inoltre dure sanzioni contro le imprese straniere degli stati che parteciperanno al riarmo della Repubblica georgiana. Tuttavia, in materia di sicurezza e difesa Tbilisi non teme la posizione ostile della Russia. Con l’appoggio dei suoi Ministri ed incoraggiato dal Segretario Generale della NATO Rasmussen, il 15 settembre scorso il Presidente Saakashvili ha chiesto al Parlamento georgiano di approvare il suo progetto di ricostruzione del Paese, per il quale verranno stanziati d’urgenza circa 127 milioni d’euro, il cui primo beneficiario sarà proprio il Ministero della Difesa, al quale verranno assegnati 75 milioni d’euro.
Prima delle festività natalizie Mosca e il suo ex satellite hanno compiuto un gesto di distensione, siglando un accordo per la riapertura del valico di frontiera di Verkhni Lars, chiuso dai russi nel 2006 per ritorsione all’avvicinamento georgiano alla NATO e unico punto di passaggio tra i due Stati che non si trovi in una delle due regioni separatiste. Inoltre, dall’8 gennaio sono stati ripristinati i voli di linea tra Tblisi e Mosca, annullati subito dopo la guerra del 2008. Ciononostante, Sergei Ivanov, vice di Putin, ha affermato che le istituzioni georgiane rappresentano ancora una minaccia per la stabilità della regione e che la Russia sarebbe pronta a reagire se le regioni separatiste sue protette venissero minacciate di nuovo. Un monito questo rivolto anche all’Alleanza Atlantica, affinché non accolga le richieste georgiane di entrare nella NATO. A Tblisi, dunque, resta forte il timore di venire sacrificata sul piatto della bilancia della cooperazione con la Russia, richiesta dagli Stati Uniti e dall’Europa su delicati dossier come quello iraniano e afghano.