Tra oceano Indiano e Pacifico la marina cinese spende e si espande
17 Dicembre 2011
In Asia si combatte già la nuova Guerra fredda. La Marina militare cinese deve fare "estesi preparativi per la guerra". Con queste parole bellicose il presidente Hu Jintao ha risposto, piuttosto bruscamente, alla decisione di Barack Obama di schierare i marines in Australia, confermando quanto sia grave la minaccia alla stabilità dell’intera regione del Pacifico, provocata dagli interessi economici e dalle mire espansionistiche di Pechino. La regione Asia-Pacifico è al centro degli interessi economici e strategici. In queste acque Washington e Pechino già combattono la loro grande partita a battaglia navale.
I vertici politici della Repubblica popolare hanno sempre parlato di “ascesa pacifica” per descrivere l’approccio con cui intendono gestire il ritorno della Cina a una posizione di primato in Asia. Ma l’esplodere delle tensioni per le disputa sulle isole contese a Filippine, Vietnam, Corea del Sud e Taiwan fa capire quali quanto il dragone asiatico sia aggressivo. La Cina continua ad accrescere le sue capacità militari, strumento insostituibile della sua affermazione economica e politica globale. La Cina è seconda solo agli Stati Uniti per le spese nel comparto Difesa. Entro la fine dell’anno sarà varata la prima portaerei “made in China”. Il 15 dicembre una società statunitense che si occupa di immagini satellitari ha annunciato di aver fotografato Varyag .
Il varo della portaerei – in realtà un restyling di un vascello sovietico mai ultimato e acquisito dall’Ucraina dopo la dissoluzione dell’Urss – non costituisce in sé una minaccia, quanto una mossa volta a riaffermare la volontà di Pechino di proiettare le proprie forze dall’Oceano Indiano al Pacifico. Un teatro nevralgico a livello geopolitico, economico e strategico. Il controllo dello rotte navali è vitale per la politica energetica cinese. Le strategie di sicurezza di Pechino non possono prescindere dalla necessità di approvvigionamento energetico e dalla priorità di acquisire il controllo sulle rotte navali. Tutto ciò pone non pochi problemi se si considera la superiorità navale statunitense nel Pacifico, che espone Pechino all’interdizione di queste rotte da parte degli Usa.
Così si spiega la frenetica e dispendiosa rincorsa cinese ad una marina “blue water”, cioè con una capacità militare di respiro oceanico e non solo costiero. Il gap che separa la Cina dalle potenze più avanzate in campo tecnologico attualmente è abissale ma se il trend dovesse confermare si ridurrà nettamente nel prossimo decennio. L’ammiraglio statunitense Robert Willard, a capo del Comando per il Pacifico, ha detto alla Reuters che le forze armate cinesi possono già contare su un missile balistico anti-nave capace di colpire vascelli in movimento a oltre 2.000 Km di distanza. A settembre è stato collaudato un aereo invisibile ai radar. Non si tratta di armi capaci di alterare il panorama della sicurezza regionale ma sono un indizio dei progressi compiuti dagli ingegneri della Rpc, misurabili anche in termini di profittabilità delle aziende del comparto militare e brevetti depositati.
Mentre gli ingegneri militari si danno da fare, la dirigenza cinese consolida la propria espansione attraverso la strategia del “filo di perle”. Vale a dire il rafforzamento delle relazioni politico-commerciali con i paesi della fascia costiera asiatica che va dal Mar Rosso fino all’Indocina, per il controllo delle rotte commerciali e dell’approvvigionamento energetico. Il “filo di perle” costituisce per Pechino un’importante rete di punti d’appoggio portuali lungo la cruciale rotta commerciale che si snoda tra il Canale di Suez e lo Stretto di Malacca, attraverso la quale transita circa il 40% del commercio globale.
I porti di Gwadar, nel Balochistan pakistano, gli scali di Hambantota nello Sri Lanka, di Akyab, Cheduba e Bassein in Myanmar, quello di Chittagong in Bangladesh, e l’avamposto realizzato su una delle isole Coco sono un vantaggio notevole per i cinesi nella corsa al controllo delle rotte marittime. La prossima perla del collier cinese potrebbero essere le Seychelles. Il paradiso turistico nel cuore dell’Oceano Indiano potrebbe diventare una nuova base operativa delle forze armate cinesi, sfidando gli Usa, che qui hanno una base per i loro droni da guerra.
L’espansionismo e il “build up” militare cinese (più 358% in dieci anni secondo il Wall Street Journal) rischiano di innescare nuove tensioni con i suoi vicini. Dall’India, al Giappone, al Vietnam. Nonostante la vicinanza ideologica, i rapporti tra con i vietnamiti sono molto tesi a causa dell’incerto assetto del mar Cinese meridionale. La crescita economica di Pechino ha trainato quella vitnamita. Hanoi è una potenza regionale in grande sviluppo economico ed è intenzionata a contenere l’espansione navale di Pechino nel mar Cinese meridionale per tutelare i propri interessi strategici. Cina e Vietnam rivendicando la sovranità su alcune isole contese, come le Parcels e le Spratly. Le scaramucce tra le due marine si fanno sempre più frequenti in un mare che giorno dopo giorno diventa sempre più affollato.