Tra presidenzialismo in extremis e girotondini di destra, il Pdl resta il gran malato
28 Maggio 2012
Da un lato formattatori, rottamatori, azzeratori; dall’altro la suggestione (niente di più visti i tempi, i modi e l’accoglienza) di una Repubblica presidenziale. Tra questi due estremi il Pdl sembra un moribondo che alterna febbri altissime a momenti di scomposta euforia derivanti dalla speranza di una improvvisa guarigione.
L’impressione è che si stia perdendo tempo (e consensi). Non è con il casino più o meno organizzato che si fronteggia una crisi dalle proporzioni immani; non è con una proposta estemporanea, tirata dal cassetto degli oggetti dimenticati, che si rivitalizza un mondo in dissoluzione. Lodevole essersi resi conto che il presidenzialismo giaceva sepolto nella coscienza di un partito che avrebbe dovuto farne la sua bandiera in tutti questi anni invece di ammainarla in tutta fretta dopo gli esiti negativi della Bicamerale del 1998. Ma alquanto velleitario immaginare di poterlo attuare in un clima tanto degradato politicamente ed in tempi così stretti per una riforma che implica la rivisitazione di tutta la seconda parte della Costituzione. Che ne dite, piuttosto, di una bella Assemblea costituente da eleggere insieme con il nuovo Parlamento a cui conferire il mandato di farla finalmente la Grande Riforma?
So che anche questo invito, reiterato innumerevoli volte sull’Occidentale, cadrà nel vuoto. Dunque, meglio non farsi nessuna illusione: del resto più autorevoli osservatori ed esponenti politici non sono stati degnati di una risposta dal vertice pidiellino quando l’hanno avanzata.
Intanto premono gli indignati del Pdl, perlopiù giovani ed intemperanti, com’è giusto che sia alla loro età, che se fossero anche pregni di idee li saluteremmo come una manna per il partito e per il Paese. Così, purtroppo non è. Hanno trascorso l’ultimo fine settimana a sfottere i maggiorenti, a prendersela con la Minetti e con Scilipoti (non senza ragione, ma trascurando chi ha voluto la nota igienista dentale al Pirellone), hanno sfiorato Alfano e lambito Berlusconi, ma si sono ben guardati dall’andare al cuore del problema che era e resta semplice oltre che noto: un Pdl privo di identità, da cui sono discese scelte programmatiche confuse e contraddittorie, difficoltà nell’individuare alleanze politiche, mancanza di prospettive ed ambizioni da coltivare con realismo.
Non essersi data una fisionomia culturale per tempo, aver aggirato la questione identitaria, appunto, volgendosi ad un plebiscitarismo vacuo e perfino un po’ sguaiato, aver rincorso stilemi comportamentali partitocratici ha debilitato il Pdl nato da una fusione a freddo e rimasto prigioniero delle contraddizioni mai metabolizzate. Adesso che cosa si pretende?
A mio modesto avviso una sola cosa sarebbe possibile fare: spacchettare e federare. Una vecchia idea, dopotutto, che nel passato i suoi frutti pure li ha dati. Se il Pdl, come i fatti dimostrano, non è riuscito a diventare un partito-coalizione, allora si faccia una coalizione di partiti e di movimenti con quel che resta del Pdl, lasciando che si formino soggettività riconoscibili e si mettano insieme non in un calderone, ma in un centrodestra organico dove ognuno con la sua autonomia dia il proprio apporto ad un’alleanza in grado non soltanto di battere la sinistra, ma di offrire un progetto per l’Italia.
Il partito unico, insomma, non ha funzionato. Se ne prenda atto e si torni all’antico. È la sola cosa responsabile che si possa fare nelle presenti circostanze. Il resto è fuffa. O, ancora peggio, sterile esercizio girotondino che se era raccapricciante a sinistra, a destra fa gelare il sangue nelle vene.
Tra girotondini di destra e presidenzialismo all’ultimo tuffo, il Pdl resta il gran malato