Tra ricorsi e strategie, va avanti l’agonia della provincia di Isernia
30 Luglio 2012
Un lungo tira e molla che sembra non finire mai. Un giorno dentro, l’altro fuori. Per la provincia di Isernia questa è un’estate decisiva. La sua sopravvivenza è messa a dura prova dalla spending review. Eliminazione, accorpamento e per ultimo riordino. Parole differenti per un unico significato: addio all’autonomia provinciale. Potrebbe essere questo il destino per l’ente di via Berta. Il condizionale in questo caso è d’obbligo, perché le notizie da Roma si rincorrono e arrivano segnali contrastanti. Come avvenuto già in passato sembra che tutto dipenda dal braccio di ferro tra tecnici e politici, cercando al tempo stesso di non alterare quegli equilibri indispensabili per tenere in vita il governo Monti.
Persa la battaglia in Parlamento ora tutto passa in mano alle Regioni. Dando per scontato che la manovra ottenga la fiducia delle due Camere la parola d’ordine da adesso in poi sarà prendere tempo e arrivare a Primavera con la manovra ancora in stand by, con la speranza (da parte delle autonomie locali) che dopo le prossime elezioni politiche possano cambiare gli scenari e soprattutto la manovra relativa al riordino degli enti. E’ questa la strategia che sarà adottata da politici, associazioni e comitati che continuano a ribadire la necessità di salvare la Provincia di Isernia.
La scorsa settimana è stata decisiva dal punto di vista parlamentare. Il senatore molisano, Ulisse Di Giacomo (Pdl), ha tentato in tutti i modi di far valere le proprie ragioni e quelle del suo territorio. Ma ha vinto la volontà dei partiti di proseguire nella politica di collaborazione con il ministro Griffi. Motivo per cui l’emendamento presentato dallo stesso Di Giacomo, e sottoscritto anche dai senatori di Umbria e Basilicata, è stato bocciato in commissione Bilancio. Una norma “Salva province” che aveva l’obiettivo di dimostrare la presunta incostituzionalità dell’articolo 17 del decreto legge, quello relativo all’eliminazione degli enti. Questa la proposta del senatore Di Giacomo, secondo cui la legge non prevede che i confini di una regione a statuto ordinario coincidano con quelli dell’unica provincia. Cosa che, secondo il nuovo dispositivo, accadrebbe in Molise, Umbria e Basilicata. Ma i relatori del maxi-emendamento, Gilberto Pichetto Fratin (Pdl) e Paolo Giaretta (Pd), d’intesa con il governo, hanno preferito escludere la norma dal pacchetto. Con il conseguente addio alle province di Isernia, Terni e Matera.
Eppure ancora non è detta l’ultima parola. Secondo il maxi-emendamento, a decidere sul riordino delle province che non rientrano nei parametri territoriali e di popolazione saranno le singole regioni. Queste ultime avranno 70 giorni invece che gli iniziali 40 dalla deliberazione dell’esecutivo per approvare un’ipotesi di riordino degli enti locali e per comunicare il piano di riordino. In Molise non ci sono margini di manovra, perché la Provincia di Campobasso resta in vita solo in quanto è capoluogo. I 320mila abitanti necessari per la sopravvivenza della provincia di Isernia sono troppi. Ma i 70 giorni concessi dal governo sono un tempo necessario per studiare una “strategia difensiva” e che, inoltre, potrebbe far slittare la decisione finale nella prossima legislatura (che sarà politica e non più tecnica). Al tempo stesso a breve potrebbe essere tirata in ballo la Corte Costituzionale, ipotesi invocata anche dal governatore Iorio. Un ricorso comune, redatto e presentato insieme a Umbria e Basilicata, dove già ci si sta muovendo in questa direzione. Potrebbe essere questa l’ultima strada da intraprendere per tenere in vita le province più piccole. Il fronte di coloro che auspicano ciò e chi invece sta dalla parte dei tagli, è diviso.