Tra (s)clero e vuoto populismo, ecco il tristissimo festival di Celentano

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Tra (s)clero e vuoto populismo, ecco il tristissimo festival di Celentano

15 Febbraio 2012

“Che caz… è?”. Il trionfo della banalità e della tristezza. Così verrebbe da rispondere alla domanda che Morandi si è lasciato sfuggire ieri sera quando il teatro dell’Ariston è stato invaso da gente che scappava e si riversava per terra e da (pietosi) effetti speciali: suono di sirene, finte esplosioni e immagini di elicotteri da guerra. Non c’è altro modo per definire l’esordio di questa 62esima edizione di Sanremo. Un festival che, come volevasi dimostrare, più che della canzone italiana sembra essere il festival di Adriano Celentano.  

Tutto cominciò con la “Celenovela” tra la Rai e il Molleggiato, un corteggiamento estenuante per averlo sul palco nazionalpopolare tutto fatto di “vediamo, chissà, valutiamo, forse”. Poi, continuò con la valanga di polemiche sul ‘modico’ compenso (300.000 euro a puntata) che sarebbe spettato al ragazzo della via Gluck e la censura da parte di Mazza&co. dello spot-provocazione che avrebbe dovuto lanciarlo. La Celentaneide con le sue attese messianiche, le sue prove blindate e le sue richieste stravaganti, in barba a cantanti in gara e canzoni, ha letteralmente dominato le scene.

Ieri sera si è consumato il disastroso atto finale (forse, perché potrebbero esserci dei sequel a sorpresa) di questa infinita e sfiancante epopea: lo (s)clero a Sanremo. Adriano con i suoi inseparabili stivaletti anni ’60 – saranno sempre gli stessi? – spunta da un mucchio di vittime in uno scenario da Apocalypse Now o Guerra dei mondi. De noantri però, visto l’effetti caserecci, più che speciali. Placata la furia da fine del mondo, quello dell’Ariston sembra lo studio di Rockpolitik. Lui beve il suo solito bicchiere d’acqua e lancia le sue bombe, che stavolta non sono parte della scenografia. La prima la scaglia sui preti: “Non parlano mai della cosa più importante: perché siamo nati? Perché non parlano del paradiso?”.

Poi raffica di proiettili vendicativi su Avvenire e Famiglia Cristiana, rei di aver criticato la scelta del Molleggiato di cedere il compenso ai bisognosi. “Andrebbero chiusi perché inutili, non parlano mai di Dio” tuona tra un sorso d’acqua e una smorfia. Dopo la butta sul retorico più becero e infila il saio da predicatore: “Sulla torre della stazione di Milano ci sono operai che dall’8 dicembre protestano contro la cancellazione dei vagoni letto che collegavano il nord al sud. Montezemolo ha fatto bene a fare il treno veloce, ma sono sicuro che ne costruirà uno lento per far vedere le bellezze dell’Italia”. La seconda bomba la lancia sulla politica chiamando in causa un concetto (che si fa leggere da Papaleo sul dizionario): il popolo sovrano. E, dando sfogo al populismo più spinto, attacca la Consulta per aver respinto “il referendum malgrado 1 milione e 200mila firme raccolte da Parisi e Di Pietro”. Una tristezza infinita.

Apparentemente proprio non si capisce cosa c’entrino scene da guerra e un’ora (su tre di kermesse) di predicozzi da vate – come se già non ci pensassero Monti, e il mostro a due teste Merkozy – da parte di uno che ha fatto dell’ovvietà e dei luoghi comuni il suo cavallo di battaglia. La risposta è presto detta: quella che la Rai – che oggi parla di “dichiarazioni da brividi” – ha fatto a Celentano in cambio di qualche decina di punti di share, è un’enorme, gigantesca marchetta all’uscita del suo ultimo album Facendo finta che sia vero regalandogli l’illusione, con uno show tutto suo che probabilmente non riavrà mai, che le vecchie glorie non invecchiano mai.

Che tristezza (ripetiamo), che banalità. Ma triste e banale è stata tutta questa prima serata di Sanremo che ha richiamato dalla panchina del 2011 vecchi conduttori e vallette (Morandi in primis, Luca e Palo e poi il duo Canalis e Rodreiguez in sostituzione della acciaccata Ivanka), che ha lasciato ancor meno spazio degli altri anni a cantanti in gara e canzoni – s’è inceppato pure il sistema di voto – per cederlo solo alla polemica più becera (ancor più becera degli altri anni). E soprattutto, assieme ai luoghi comuni di Celentano, ne ha fatto emergere un altro: l’Italia non è un Paese per giovani. Il trio ragazzo della Via Gluck (Celentano)- eterno ragazzo (Morandi)- eterno nanetto di Gelato al Cioccolato (Pupo), con il loro imbarazzante delirio che somigliava più a un dialogo tra vecchi rimbambiti ai giardinetti, ne è l’emblema. Sanremo sarà pure Sanremo e saremo anche al primo atto di questa edizione 2012, ma noi ne abbiamo già le… note piene.