Tra Sesto e Berlino, il puzzle di Amri il tunisino
25 Dicembre 2016
Un elemento positivo c’è nella operazione di polizia – un controllo di routine – che ha portato alla eliminazione del killer jihadista di Berlino, Anis Amri. Le forze dell’ordine funzionano, continuano a controllare per bene il territorio, e vicende anche drammatiche come questa possono rinsaldare la fiducia dei cittadini verso chi difende la sicurezza collettiva. Detto ciò, sull’attentato a Berlino restano anche molte perplessità. Speriamo infatti che sia davvero tutta colpa di Schengen e dei confini liquidi della Ue se un terrorista armato di calibro 22 (fabbricazione tedesca), inneggiante a Isis sul sito di Isis e collegato a un predicatore iracheno fondamentalista, ammazza un camionista, gli ruba il Tir, lo lancia sulla folla del mercatino di Natale, elimina una dozzina di persone, poi scappa prendendo treni e trenini regionali tra Germania, Francia e Italia, finché arriva alle tre di notte a piedi o in autobus a Sesto San Giovanni, dove per strada viene intercettato dalla volante, spara, ferisce un agente, lo uccidono. Si scopre intanto che Amri era noto alle intelligence di diversi Paesi, quella marocchina aveva avvertito i tedeschi che il giovane era pronto a “entrare in azione”, secondo una informativa del settembre scorso.
Speriamo che sia colpa di Schengen anche la coincidenza per cui il Tir polacco parte dall’Italia e sempre in Italia torna Amri il tunisino (era arrivato anni fa nel nostro Paese sulla rotta di Lampedusa; la madre, intervistata da Le Parisien, lo implorava di tornare a casa; il nipote, membro di una cellula che operava in Tunisia, comunicava con lo zio via Telegram): secondo alcune fonti il camion sarebbe partito da Cinisello Balsamo, a due passi da Sesto San Giovanni, dove appunto torna il jihadista braccato. Qualcuno dall’Italia ha avvertito Amri in Germania della partenza del Tir polacco, prima che il terrorista lo rubasse uccidendo l’autista? Il camionista a vederlo in foto non sembra un mingherlino; Amri lo avrebbe steso, da solo, impossessandosi del camion per la strage. Delle due, o il tunisino è un foreign fighter ben addestrato, oppure non ha agito da solo. Qualcuno lo ha avvertito dall’Italia, aiutandolo in Germania a togliere di mezzo l’autista? Nei giorni scorsi abbiamo scritto delle centrali salafite – ideologia fondamentalista dell’islam – che si propagano in terra tedesca, mentre, spiega Andrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, a Milano si sospetta che ci siano basi del Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento in grado di offrire supporto logistico agli affiliati.
Un altro interrogativo riguarda i documenti di Amri ritrovati dalla polizia tedesca nel Tir. Subito dopo l’attentato a Berlino, per un giorno intero, l’attenzione si concentra tutta su un richiedente asilo pakistano, catturato e torchiato per ore dagli agenti, ma che in seguito sarà rilasciato. Mentre si parla del pakistano, però, il capo del movimento antijihadista Pegida, Lutz Bachmann, twitta “La polizia sta cercando un tunisino”. Il cinguettio è solo frutto della immaginazione di Bachmann o qualche ‘gola profonda’ amica del numero uno di Pegida gli ha dato l’imbeccata, magari per anticipare la spallata elettorale alla cancelliera Merkel? 24 ore dopo l’attacco, un lasso di tempo preziosissimo per le indagini, arriva la notizia che la polizia tedesca ha recuperato i documenti del vero attentatore, Amri, all’interno del camion. Scoperta tardiva che lascia perplessi se aggiungiamo che, dopo altre 48 ore, nel Tir viene ritrovato anche il cellulare del tunisino. Una lunga perquisizione. Secondo alcuni Amri avrebbe lasciato apposta i documenti nel camion per mostrare ai suoi capi dell’ISIS che aveva portato a termine la missione; ma la versione dei documenti ‘dimenticati’ potrebbe anche essere “lo schermo usato dagli investigatori per coprire fonti che non si vogliono svelare”, come scrive Guido Olimpio sul Corriere, “un informatore, un nota di un rapporto di intelligence, una soffiata”. “Non possiamo escludere che diventi anche la scusa per nascondere errori o sottovalutazioni”, prosegue Olimpio. “Con il passare delle ore è evidente che il tunisino era ‘stranoto’ alle forze di polizia, da oltre un anno era finito nelle indagini, lo consideravano pericoloso. Eppure ha potuto sferrare l’assalto al mercatino. Una sconfitta totale e devastante”.
Dunque, di nuovo il tema del terrorista noto alla intelligence, che si sarebbe “radicalizzato” nelle carceri italiane. Uomo dalle identità multiple, questo Amri, tornato nel nostro Paese forse in cerca di documenti falsi, dove, scrive il Foglio citando una fonte anonima, prima del controllo di routine che smaschera il terrorista, lo aspettavano i servizi italiani, nel bergamasco, non lontano da Sesto. Qui Amri avrebbe potuto “contare su una rete di amici tunisini che come lui erano ragazzi durante l’onda si sbarchi a Lampedusa nel 2011”, sbandati e piccoli criminali facilmente ricattabili. Cresciuti come foreign fighters, che vanno e vengono tra Europa e Medio Oriente dopo il fallimento delle primavere arabe obamiane, salutate tanto favorevolmente dalle cancellerie europee. Italia compresa. Parlando in conferenza stampa con i giornalisti, due giorni fa, il ministro Minniti tamburellava le dita, muoveva le mani toccandosi con un po’ di nervosismo il volto. E già perché a differenza di Gran Bretagna, Francia e Germania, siamo un Paese europeo che non è stato colpito da attacchi jihadisti. In passato sì, dai palestinesi, quando si ruppe quel patto che secondo alcuni consentiva ai terroristi di Arafat e company di usare l’Italia come piattaforma logistica, senza versare sangue nel nostro Paese. E senza nulla togliere all’eroismo dei nostri agenti, anche questo elemento altri interrogativi li pone.