Trattati Roma: l’Ue vista da Washington oggi
22 Marzo 2017
Già prima di essere eletto presidente Donald Trump elogiava la decisione britannica di abbandonare l’Unione europea, indicando di voler privilegiare rapporti bilaterali con i singoli Stati membri, e caldeggiando così il ripristino della piena sovranità nazionale, libera rispetto ai vincoli di Bruxelles. Alla fine della Seconda Guerra mondiale erano stati proprio gli Usa a spingere per un’inedita forma di unione economica e politica nell’Europa occidentale, innanzitutto con il piano Marshall, il programma di aiuti economici per la ricostruzione del Vecchio Continente, che Washington subordinò ad una gestione collettiva da parte dei Paesi europei.
Europa unita significava, nella strategia statunitense, un partner forte e affidabile, un blocco occidentale in funzione anti-sovietica. E un ruolo cruciale nella sensibilizzazione degli Stati Uniti a favore dell’integrazione europea lo giocò James William Fulbright, senatore democratico dell’Arkansas dal 1945 al 1974, figura popolare ed influente nel Congresso degli Stati Uniti dalla fine della Seconda Guerra mondiale agli anni Novanta.
Quello che poi è successo, il profilo che è stato imposto all’Europa dagli stessi europei, l’euro, la crisi – economica e delle culture -, i valori svenduti e i punti di forza, propri dell’identità di Paese dell’Unione, mortificati, sono storia. Ed è storia che l’Europa, nella celebrazione dei Trattati di Roma, è qualcosa di quanto mai insignificante, quasi un’entità astratta principio e fine di tanti problemi.
“E’ un diritto di tutte le nazioni anteporre i propri interessi”, aveva dichiarato Trump nel suo discorso inaugural, incentrato sull'”America prima di tutto”. Co-autore dell’intervento, il conservatore Steve Bannon, il suo capo stratega. Per il ‘chief strategist’ di Trump, l’Unione Europea non è altro che una minaccia per l’intera civiltà occidentale: “Un corpo che annacqua l’identità nazionale e le cui politiche di frontiera permettono all’Islam di invadere l’Occidente, un rifugiato alla volta”. E c’è ancora chi osa prendere in giro e mentire considerazioni di questo tipo.
“Ammiro i movimenti nazionalisti in tutto il mondo”, ha dichiarato Bannon al Wall Street Journal, poco dopo la vittoria di Trump, sostenendo la necessità di ripristinare le frontiere tra gli stati europei, per tenere fuori gli immigrati musulmani e tutelare l’identità religiosa.
La preoccupazione tangibile nelle celebrazioni di questa giornata particolare per l’Italia affonda le sue origini nella Brexit. Soprattutto adesso che il processo che cambierà il profilo europeo è ad un passo dal posizionarsi sulla striscia di partenza. E guardare tutto dalla prospettiva statunitense dà un certo valore in più ad ogni cosa. Aiuta ad orientarsi meglio.
“Penso che la Brexit sarà una cosa meravigliosa per il vostro Paese. Sarete in grado di fare i vostri accordi commerciali senza che nessuno vi controlli”, aveva detto lo scorso gennaio il Don alla signora May. Marcando la differenza con il suo predecessore, Barack Obama, convinto che la Brexit avrebbe messo la Gran Bretagna “in ultima fila”. Ma la lungimiranza non è mai stato il suo forte.
Sulle pagine del Times e della Bild, Trump ha definito l’Unione europea utile solo a Berlino. “Guardate l’Ue e vi ritrovate la Germania, è un grosso strumento per la Germania – ha ammonito – è la ragione per la quale credo che il Regno Unito abbia fatto bene ad uscirne”. E sono proprio considerazioni di questo tipo a far impazzire gli euroburocrati in doppio petto. Il ventre è molle, e lo sanno bene.