Tre proposte per rilanciare il commercio in Abruzzo
21 Gennaio 2011
di F. C.
Prima il problema sembrava essere tutto da ascrivere alla presenza di grandi centri commerciali e al presunto arrivo di altre strutture. Poi è arrivata la guerra alle aperture domenicali, additate come uniche responsabili dello svuotamento dei negozi nei centri storici durante le giornate di festa.
Insomma, sembra non esserci pace per la situazione del commercio in Abruzzo, con i piccoli negozianti ogni giorno sul piede di guerra, alla ricerca dei possibili responsabili della crisi che ha investito il settore e che, con il Natale alle spalle, non ha fatto tirare quasi a nessuno un sospiro di sollievo. Nelle sedi istituzionali sono state recepite e il più possibile assecondate le richieste, dalla già ricordata norma sulle aperture domenicali alla moratoria per le grandi strutture.
La Regione Abruzzo si è infatti dotata di una legge che è stata a lungo discussa e concertata con tutti le categorie interessate. In particolare è stato dato seguito alla richiesta dei commercianti di vietare l’apertura di nuovi centri commerciali, almeno per due anni. Richiesta contemperata con la possibilità, per quelle esistenti, di usufruire di maggiori aperture domenicali, rimessa ora in discussione con un emendamento alla Finanziaria che limita di nuovo le aperture domenicali.
Insomma un tira e molla che ha dato la misura della schizofrenia che sta investendo tutto il settore. E che soprattutto hanno portato tutti i soggetti interessati a concentrarsi, probabilmente, su circostanze di contorno e non sul vero nocciolo del problema. E’ vero che il commercio al dettaglio sta attraversando un momento di difficoltà. Si leggono ogni giorno statistiche preoccupanti relative alla contrazione dei consumi. Ma l’idea che per risolvere il problema sia sufficiente dichiarare guerra alla concorrenza, o farne una questione di aperture domenicali, è riduttiva e miope.
Il problema è molto più complesso e riguarda in generale il cambiamento della società, delle abitudini delle famiglie e, soprattutto, dei consumatori. Fare finta di niente davanti a tutto ciò e aspettarsi che il mondo funzioni sempre nella stessa maniera significa essere fuori dal sistema. Piaccia o non piaccia, oggi bisogna essere competitivi, attenti alle trasformazioni e soprattutto flessibili. Questo vale per tutti i campi. Commercio compreso, e soprattutto per il cosiddetto commercio “di vicinato”.
Non fa bene al settore vedere assecondate tutte le loro richieste, anche quando sono antistoriche e palesemente controtendenza. Una donna che lavora, occupata tra ufficio e famiglia, per esempio, troverà molto pratico poter concentrare gli acquisiti nella pausa pranzo o la mattina presto. Un giovane professionista il più delle volte è costretto a una corsa contro il tempo per raggiungere il negozio di generi alimentari sotto casa prima dell’orario di chiusura.
E che dire dei parcheggi introvabili, dei bar chiusi la domenica, delle vie del centro poco accoglienti per bambini ed anziani? Rappresentano un vero e proprio invito per le famiglie a rifugiarsi nei centri commericiali. Qualsiasi famiglia preferirebbe trascorrere un pomeriggio all’aperto, per le vie del centro, dandosi appuntamento con parenti ed amici, piuttosto che in un centro commerciale. Che ha logiche ben diverse e, se si riflette bene, non necessariamente in concorrenza con il piccolo commercio.
Il problema, dunque, potrebbe non essere i giganti della distribuzione, ma la vitalità dei negozianti, che sembra mancare. Forse basterebbe offrire maggiori servizi e flessibilità negli orari, puntare su prodotti di qualità e soprattutto risolvere il problema dei parcheggi. La via per uscire dalla crisi, dunque, può essere autonoma e non passare per l’eliminazione dell’avversario. Perché ciò che serve è una proposta nuova, un’offerta diversa, un motivo per essere scelti.