Tremano le Borse: Dubai ora fa paura ma l’Italia non ha nulla da temere
27 Novembre 2009
Le Borse tengono il fiato sospeso ma l’onda lunga partita da Dubai non conivolgerà l’Italia. L’esposizione delle banche italiane nei confronti del Fondo Dubai World è "estremamente marginale o inesistente" e "gli istituti non dovrebbero avere problemi da quanto è capitato", ha detto il presidente dell’Abi, Corrado Faissola, commentando la crisi in corso del fondo dell’emirato arabo. La richiesta di moratoria di 6 mesi su debiti da oltre 59 miliardi di dollari da parte di Dubai World, la holding controllata dal governo di Abu Dhabi (quella che ha sviluppato alcune delle strutture capaci di rendere un pezzo di deserto tra le più famose località mondiali), ieri ha sconvolto i mercati.
Le borse europee oggi hanno avviato la seduta con un profilo pittosto basso, dopo aver accusato, ieri, la flessione più pesante degli ultimi sette mesi sui timori provenienti dal Golfo Persico. Tutti in calo in apertura i listini del Vecchio Continente (che ieri ha perso 152 miliardi di euro di capitalizzazione in una sola seduta): a Parigi l’indice Cac in avvio di seduta segna -1,79% a 3.614,51 punti mentre a Londra il Ftse segna -1,74% a 5.103,78 punti. In calo anche Francoforte (-1,6%). Non si discosta dal trend ribassista anche Piazza Affari che all’esordio vede l’Ftse Mib arretrare del 2,33% a 21.433,62 punti, mentre l’All Share perde il 2,12% a 21.887,23 punti.
Il collasso della holding porta pericolosamente a ribasso le Borse asiatiche. Hsbc e Standard Chartered hanno perso entrambe oltre il 6%. Soffrono gli immobiliari con interessi a Dubai che potrebbero perdere 10 miliardi di yen. Deboli i tecnologici, giù anche i minerari. Con Wall Street chiusa per festività fino a lunedì la Borsa di Tokio ha chiuso le contrattazioni in pesante ribasso, meno 3,22%, trascinata al ribasso dalla crisi del Dubai World e dal continuo rafforzamento dello yen rispetto al dollaro che in apertura di contrattazioni è sceso sotto quota 85, un livello che non toccava dal 1995. L’indice Nikkei scende a 9.081,52 punti, 301,72 in meno della chiusura di ieri. “Gli operatori temono un crack finanziario a Dubai – commenta un operatore – e si stanno rifugiando nell’oro, titoli pubblici e perfino nel dollaro”.
La Borsa di Hong Kong ha aperto la seduta con una perdita del 3,13%, con l’indice Hang Seng che cede 765,28 punti percentuali. Forti ribassi si registrano anche a Seoul (-2,56%) e Taipei (-3,21%), mentre Sydney accusa un ribasso del 2,9%. Le Borse di Singapore, Kuala Lumpur e Giacarta sono chiuse per festività. Si attendono ora le reazioni di Wall Street, rimasta chiusa ieri per festeggiare il Thanksgiving Day. Oggi, inoltre è il Black Friday, ossia giorno in cui inizia lo shopping di Natale per gli americani. Nel frattempo i futures sugli indici a stelle e strisce perdono oltre tre punti percentuali.
Questa situazione sembra raffreddare le aspettative di un riavvio dell’economia mondiale e diminuisce il valore degli asset dei paesi arabi. Gli investitori di tutto il mondo sono preoccupati soprattutto per la mancanza di informazioni sul reale stato della crisi di Dubai World, ma fino a domenica nel Medio Oriente si osserva la festività religiosa di Eid al-Adha e dunque sarà difficile conoscere i dettagli della ristrutturazione del debito. La dichiarazione rilasciata ieri sera dallo sceicco al-Maktoum non è servita a rasserenare gli animi. Una conference call con gli investitori si è interrotta bruscamente per un sovraccarico delle linee telefoniche, innervosendo ancora di più gli operatori. E così oggi sui mercati europei è facile prevedere un’altra ondata di vendite innescata proprio dall’incertezza sulla situazione finanziaria del Dubai il cui settore immobiliare si è gonfiato a dismisura per poi scoppiare all’inizio di quest’anno.
In particolare gli investitori internazionali vorrebbero sapere se lo “standstill” (congelamento del pagamento del debito) è un’opzione offerta ai creditori o un’imposizione per gli stessi. Nel secondo caso, secondo le agenzie di rating, saremmo di fronte a un vero e proprio default del debito del paese che potrebbe avere conseguenze nefaste per la credibilità degli Emirati arabi e per i mercati nel loro complesso. Il secondo punto che inquieta la comunità finanziaria riguarda lo stato dei rapporti tra Dubai e Abu Dhabi, l’emirato confinante ricco di petrolio che in passato ha fornito le risorse finanziarie necessarie a garantire i prestiti del Dubai.
Le difficoltà di Dubai hanno alimentato ipotesi di possibili effetti contagio in tutta l’area del Medio Oriente e delle economie emergenti, e richiamato lo spettro della crisi finanziaria asiatica della metà degli anni ’90.
Il governo dell’Emirato arabo ha comunicato ieri che Dubai World e la controllata Nakheel intendono chiedere a tutti ai finanziatori una moratoria e di estendere le scadenze almeno fino al 30 maggio 2010. La holding statale sta cercando di rinegoziare un “bond islamico” da 3,52 miliardi di dollari emesso da Nakheel, l’operatore immobiliare famoso per aver realizzato le isole a forma di palma, in scadenza il 14 dicembre prossimo.
La moratoria riguarda un gruppo complessivamente indebitato per circa 60 miliardi di dollari: l’emirato sta accusando un drammatico crollo dei prezzi immobiliari, che hanno subito cali dell’ordine del 50% dopo che negli anni scorsi aveva acquistato notorietà mondiale come polo finanziario dell’area che fa sfoggio di innumerevoli grattacieli, tra cui il più alto del mondo.
La Dubai World, a controllo statale, è a capo del progetto per la creazione della gigantesca isola artificiale nel Golfo a forma di palma.