Tremonti lancia il nuovo allarme sulla crisi e trova i soldi per i precari
06 Marzo 2009
“Lavoro, imprese e banche” – così il ministro dell’Economia, GiulioTremonti, ha battezzato l’incontro di ieri per fare il punto sulla “terribile crisi” che ci attende nel 2009. L’ordine delle parole non è casuale. Il lavoro al primo posto, seguono le imprese ed infine le banche. Ed è proprio in materia di sostegno al lavoro, o meglio di sostegno alla probabile ondata di disoccupazione che colpirà l’economia italiana il prossimo anno, che Tremonti ha annunciato di avere altre risorse per gli ammortizzatori sociali.
Il pessimismo è più che giustificato dopo le stime di Confindustria e di Banca d’Italia che vedono il Pil contrarsi del 2,5-2,56 per cento. Tinte fosche quindi ed il Ministro annuncia: “la settimana prossima vi potrò annunciare che c’è un gruzzoletto per gli ammortizzatori sociali”. Questi nuovi fondi si aggiungeranno ai 9 miliardi già annunciati la settimana scorsa nel confronto tra Governo e Regioni. La crisi potrebbe colpire gravemente la tenuta del tessuto sociale ed è quindi necessario intervenire con tutte le risorse possibili.
Si torna così alla concertazione, secondo la formula della concezione sociale del mercato. L’essenza della “economia sociale di mercato”, invocata dal Ministro durante gli incontri della scorsa settimana con le Regioni e le parti sociali, si basa sull’idea che lo Stato si deve astenere da ogni interferenza con il mercato (in questo senso il modello è ‘liberale’), intervenendo solo quando si manifesta una palese ingiustizia sociale. Lo slogan, come noto, è “tanto mercato quanto possibile, tanto Stato quanto necessario”.
Lo Stato ha il diritto di intervenire nella vita economica e sociale solo in quei casi il cui ha il dovere di intervenire. Ed in questo caso intervenire è d’obbligo. Si torna ad una concezione di società con forti caratteristiche relazionali: il coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’impresa; lo stato sociale come guardiano dell’assistenza pubblica e della libera negoziazione tra gli agenti economici privati; il federalismo; un forte ma responsabile sindacato dei lavoratori – l’interesse collettivo che di solito prevale sull’interesse privato. Un termine, “sociale”, che Luigi Einaudi sosteneva essere inutile (“un semplice riempitivo”) perché già contenuto nella concezione tradizionale, classica, del liberalismo. Se Stato e operatori economici agiscono con onestà è “il libero gioco dei singoli che cospira al bene comune”.
Quando una crisi di straordinaria gravità lo richiede, allora anche un liberale è pronto a fare delle concessioni al principio della concorrenza per intervenire a difesa della pace sociale e della tenuta del sistema economico e produttivo. Bene quindi rafforzare innanzitutto le risorse per gli ammortizzatori sociali, insieme, ovviamente, ad una forte sostegno alle imprese ed alle banche. Perché momenti eccezionali richiedono interventi eccezionali. Ed un forte intervento dello Stato pare oggi più che mai giustificato. Anche per un liberale.