Tremonti non stravolgerà il sistema delle pensioni, ma forse dovrebbe farlo
19 Maggio 2010
Scuote soltanto a sentirlo nominare il termine “manovra”. Sale l’ansia, pensando a nuovi sacrifici e nuove tasse per ristabilire l’equilibrio nel bilancio pubblico. Ma stavolta, cioè la manovra correttiva 2010, sarà diversa: una manovra “etica”. E’ così che l’ha definitiva ieri il ministro dell’economia, al termine della riunione Ecofin di Bruxelles. Ma cosa vorrà significare? Lo spiega sempre lui: «Non aumenteremo le tasse, non metteremo le mani in tasca ai cittadini»; a preoccuparsi dovranno essere i «falsi invalidi e veri evasori fiscali»; verrà ridotto «il peso della mano pubblica, senza che questo impatti sulla vita delle persone»; dunque, ha concluso Tremonti, «non sarà soltanto un cambiamento economico, ma di cifra etica: una correzione di sistema».
In effetti, è proprio sulla spesa pubblica che si dovrebbe giocare la partita, stando alle indicazioni Ue che chiedono la riduzione dell’indebitamento delle amministrazioni pubbliche. Una manovra etica, allora, potrebbe voler dire una manovra di redistribuzione degli oneri e dei benefici all’interno della collettività. Ottima soluzione! Le reazioni politiche non sono mancate. Se per il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, le parole di Tremonti hanno suscitato ironia («quando Tremonti minaccia gli evasori, spunta sempre un condono»), all’ex premier Romano Prodi lo hanno mandato addirittura in bestia: «espressioni volgari», ha sbottato ieri a “Otto e mezzo” riferendosi all’eufemismo “non metteremo le mani nelle tasche degli italiani”, per dire che si tratta di «uno slogan diseducativo per un Paese che così non sarà mai forte, perché spinge la gente a convincersi che non bisogna pagare le tasse».
Tornando alla manovra, il menù degli interventi deve ancora essere definito nei dettagli; il ministro ha pronta una lista delle misure correttive e oggi ne discuterà con il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Misure che, con molta probabilità, verranno approvate prima della scadenza di fine luglio prevista in agenda; potrebbe essere già a fine mese, con un decreto legge, da convertire prima dell’estate. La cifra messa in campo: dai 25 ai 30 miliardi di euro.
Nel menù degli interventi, Tremonti vede tra gli “aperitivi” il taglio di stipendi dei parlamentari (il 5%, potrebbe essere). A questo punto ci incuriosisce sapere dove il ministro vede collocato (sempre in quel menù) la misura sulle pensioni, se un intervento sulle pensioni ci sarà.
Tutto è ancora da definirsi, infatti, e lo stesso Tremonti sempre ieri ha evitato di pronunciarsi affidandosi alla sua efficace dialettica: «se lei mi chiede», ha risposto a un giornalista, «se stiamo stravolgendo il sistema pensionistico, le dico di no perché funziona bene. Abbiamo il sistema previdenziale più stabile d’Europa». Messaggio ricevuto ministro! Con tanta pace per tutti: sarà il solito spezzatino, insomma, per restare nella simbologia del menù: un adeguamento delle finestre di pensionamento. E’ questa, in effetti, la voce che circola da giorni, uno scorrimento delle finestre per le pensioni.
L’ipotesi più accreditata è quella dell’unificazione, previa riduzione, delle finestre oggi previste per le pensioni di vecchiaia (quattro) e anzianità (due + quattro), per chi dovrà andare a riposo dal prossimo anno. Nel 2011 le finestre potrebbero allinearsi a due sia per i pensionamenti di vecchiaia che per quelli di anzianità; a partire dal 2012, potrebbero poi ridursi ad una sola. L’aggiustamento assicurerebbe al bilancio dello stato un risparmio di spesa attorno al miliardo e mezzo di euro all’anno. Senza contare l’ulteriore beneficio, sempre in termini finanziari e per le casse dello stato, derivante dallo slittamento, ai soli pubblici dipendenti, dell’erogazione di buonuscita e trattamenti di fine rapporto allo stesso momento di accesso alla pensione.
Le regole di oggi prevedono che, per andare in pensione di vecchiaia, servono 65 anni (60 se donne) e almeno 20 anni di contributi per chi ricade nel sistema retributivo della pensione, altrimenti l’età è la stessa ma bastano 5 anni di contributi (sistema contributivo). La decorrenza della pensione, a far data dal 1° gennaio 2008 (protocollo Welfare del 2007), è fissata nelle seguenti quattro finestre:
· per chi matura i requisiti entro il 31 marzo, al 1° luglio dello stesso anno (1° ottobre per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 30 giugno, al 1° ottobre dello stesso anno (1° gennaio dell’anno successivo per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 30 settembre, al 1° gennaio dell’anno successivo (1° aprile dell’anno successivo per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre, al 1° aprile dell’anno successivo (1° luglio dell’anno successivo per i lavoratori autonomi).
Per andare in pensione di anzianità, fino a fine anno, serve un’età minima di 59 anni e raggiungere “quota” 95 sommando l’età all’anzianità contributiva posseduta la quale, tuttavia, non può essere mai inferiore a 35 anni (per esempio, con 59 anni servono 36 anni di contributi per fare 95; con 60 anni d’età, ne bastano 35; con 61 anni d’età servono sempre 35 anni di contributi, perché il minimo inderogabile); ai lavoratori autonomi, fino a fine 2010, serve l’età minima di 60 anni e raggiungere “quota” 96. Negli anni 2011 e 2012, i requisiti saranno: età 60 anni e quota 96 per i lavoratori dipendenti; età 61 anni e quota 97 per i lavoratori autonomi. A partire dal 2013, i requisiti saranno: età 61 anni e quota 97 per i lavoratori dipendenti; età 60 anni e quota 96 per i lavoratori autonomi. Si può andare in pensione a prescindere dall’età se si possiede un’anzianità contributiva di almeno 40 anni. In tale ipotesi, se si hanno almeno 35 anni di contribuzione effettiva (minimo inderogabile), valgono pure i contributi figurativi per disoccupazione e malattia, al fine di raggiungere i 40 anni. Per la decorrenza della pensione sono previsti due programmi di finestre: uno per chi ha meno di 40 anni di contributi (le finestre sono due) e l’altro per chi arriva almeno a 40 di contributi (le finestre sono quattro).
Nel primo caso, la decorrenza è fissata:
· per chi matura i requisiti entro il 30 giugno, al 1° gennaio dell’anno successivo (1° luglio dell’anno successivo per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre, al 1° luglio dell’anno successivo (1° gennaio del secondo anno successivo per i lavoratori autonomi).
Nel secondo caso (almeno 40 anni di contributi), la decorrenza della pensione è fissata:
· per chi matura i requisiti entro il 31 marzo al 1° luglio dello stesso anno, se si ha l’età di 57 anni entro il 30 giugno (al 1° ottobre dello stesso anno per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 30 giugno al 1° ottobre dello stesso anno, se si ha l’età di 57 anni entro il 30 settembre (al 1° gennaio dell’anno successivo per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 30 settembre al 1° gennaio dell’anno successivo (al 1° aprile dell’anno successivo per i lavoratori autonomi);
· per chi matura i requisiti entro il 31 dicembre al 1° aprile dell’anno successivo (al 1° luglio dell’anno successivo per i lavoratori autonomi).
Non si sa con esattezza quale sia il piano di modifiche previsto in manovra. Tremonti ha rassicurato che non stanno «stravolgendo il sistema pensionistico». E agire sull’età di pensione non è forse comunque un intervento “strutturale” al sistema pensionistico?
Le finestre, infatti, non fanno altro che determinare, indirettamente, un innalzamento dell’età di pensione: questa resta la stessa, ma viene fatto slittare in avanti il momento della prima liquidazione della pensione che, pare ovvio, ha lo stesso effetto di elevare l’età di pensionamento. Questo rinvio, oggi, varia tra 6 a 3 mesi (9 e 6 mesi ai lavoratori autonomi), sia per la pensione di vecchiaia che di anzianità; solo per chi va in pensione di anzianità con meno di 40 anni, è più marcato variando tra 12 a 6 mesi (tra 24 e 12 mesi ai lavoratori autonomi). Dunque, si continua a dire che servono 60 anni per andare in pensione di vecchiaia, ma in effetti il primo assegno s’incasserà dopo 3, 4, 5 o 6 mesi.
Se è così, allora, ma perché non mettere mano a un progetto di riforma organico? A noi (mi ritengo di appartenere alle giovani generazioni, almeno in termini “previdenziali”) non dispiace. Perché più preoccupante è la tenuta del sistema pensionistico. Che non significa solo ed esclusivamente far rientrare i conti della spesa pensionistica nei parametri del bilancio pubblico; occorre pure che questi conti quadrino con un adeguato livello di tutela garantito ai cittadini, oggi lavoratori e domandi pensionati.