Tremonti sale sullo scudo (e fa bene)
30 Settembre 2009
Da pochi giorni hanno avuto avvio le procedure per aderire allo “scudo fiscale” 2009/2010. Come da copione, le discussioni intorno alle misure fiscali del governo si sono intensificate a dismisura anziché scemare gradualmente.
Alla fine, anche il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giulio Tremonti ha iniziato a intervenire in pubblico su questo tema. Appena ieri, in occasione di un convegno organizzato da Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza, ha consegnato ai taccuini dei giornalisti una serie di considerazioni piuttosto esplicite sui paradisi fiscali.
Perché tanta smania di confrontarsi con un argomento così scomodo? Perché non tacere, limitandosi a passare all’incasso? A Roma sono diversi i politici che se lo chiedono. Resta il fatto che Tremonti è un politico navigato, che sa bene quanto sia deleterio uno scudo fiscale per l’immagine pubblica di un ministro. Per chi non lo sapesse, un’occhiata alle imitazioni della Guzzanti su YouTube rende benissimo l’idea.
A Sparta le madri, quando i figli partivano per la guerra, consegnavano loro lo scudo, ammonendo: "O con questo o su questo", significando che bisognava ritornare vincitori con lo scudo o giacere su di esso, cadaveri. E per Tremonti è grossomodo la stessa cosa in termini politici: lo scudo, se non spiegato con cura e difeso con le unghie e con i denti, rischia di essere un pericoloso inciampo.
Cosa frulla nella testa di Tremonti? L’uomo di Via XX Settembre ha dato a intendere di non amare provvedimenti di questo tipo – men che meno se accompagnati da un “condono” che i giornali confondono regolarmente con amnistie – ma di non potervi rinunciare in piena crisi. La comunità internazionale in questo momento non li disapprova, purché accompagnati da un rinvigorimento nella lotta all’evasione – la vecchia logica del bastone e della carota – e gli imprenditori, a corto di liquidità e vessati dalle banche, li chiedono. Diversamente, con i tempi che corrono, farebbero affari d’oro gli spalloni!
Non si può dire, peraltro, che questo governo sia solo o in cattiva compagnia: a varare scudi fiscali sono tra gli altri Stati Uniti, Francia, Inghilterra. In passato, poi, si ricordano casi clamorosi come quello della Grecia. Tra il 2004 e il 2005 il governo greco fece ricorso a uno scudo per persone fisiche e società. Con il pagamento di una “una tantum” del 3% sui capitali rimpatriati, l’erario ellenico recuperò gettito per 20 miliardi di euro (circa il 10% dell’intero PIL nazionale)…
Con ogni probabilità, lo scudo di Tremonti non è a buon mercato, come ha invece sostenuto il think tank NENS di Bersani con criptiche tabelle di comparazione. Lo “scudo” italiano è un provvedimento che opera sul duplice piano dell’aliquota e della base imponibile. Ebbene: l’aliquota è del 50%. Un saggio molto elevato, più alto dell’aliquota marginale italiana. La base imponibile è una rendita fissata al 2% del capitale per legge. Una rendita decisamente elevata se si considerano i rendimenti medi di mercato degli ultimi periodi (Madoff insegna…).
Il punto però non è quello di mettersi a far conti abaco alla mano. Per Tremonti impegnarsi in confronti quantitativi sarebbe un errore politico. Rischierebbe infatti di alimentare una spirale di smentite e controsmentite che lo metterebbe pugilisticamente in un angolo. Molto meglio prendere di petto la questione e chiarire perché, alla fine, i governi scelgono di utilizzare “scudi” fiscali o, come li chiamano all’estero “tax amnesties”. Alla base di questo tipo di iniziative vi è anzitutto il convincimento che non tutti gli evasori siano uguali ma che esistano almeno due categorie fondamentali di evasori. La prima categoria comprende chi non intende assolvere gli obblighi fiscali in assoluto. La seconda categoria comprende invece coloro che sarebbero disposti a farlo ma che sono frenati da altre ragioni.
Per quanto concerne la prima categoria, quella degli evasori incalliti, è evidente che nessuna iniziativa potrebbe convincerli a venire allo scoperto. Senza contare che – come ha notato Tremonti – chi è un vero criminale, difficilmente opterebbe per lo scudo come strumento per riportare i soldi alla luce del sole. Per quanto riguarda la seconda categoria, sarà solamente il gettito dello “scudo” a decretare il successo o il fallimento dell’iniziativa e occorrerà dunque pazientare fino a primavera, quando lo scudo chiuderà i battenti e il Fisco si conterà i soldi in tasca.
Per intanto, non si può fare a meno di scrutare l’orizzonte in cerca di presagi e segnali premonitori. Come le condizioni dei principali istituti di credito, che fanno a gara ad accaparrarsi evasori redenti offrendo il costo del rimpatrio (l’imposta sostitutiva dovuta al Fisco) e anche altro pur di avere liquidi da gestire.