Tremonti spariglia le carte dell’economia

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Tremonti spariglia le carte dell’economia

14 Marzo 2008

E se la vivace discussione suscitata dall’ultimo saggio di Giulio Tremonti, “La paura e la speranza” (Mondadori), si ripercuotesse su quell’accordo post-elettorale tra Popolo della libertà e Partito democratico, che molti osservatori considerano ancora come molto probabile?

Da noi finora la “Grosse Koalition” è stata sempre evocata come lo strumento più opportuno per realizzare alcune grandi riforme, tanto ineccepibili tecnicamente quanto neutre politicamente. Ovvero, in altre parole, come la forma politica di un governo sostanzialmente tecnico: capace, cioè, di fare quelle scelte che – come suol dirsi – non sono “né di destra né di sinistra”, ma sono semplicemente “necessarie” al Paese: liberalizzazioni, riqualificazione della spesa pubblica, taglio della pressione fiscale, snellimento burocratico, investimenti in scuola e ricerca. E si potrebbe continuare.

Questo scenario tuttavia è stato messo a soqquadro dal libro di Tremonti, che ha sparigliato le carte e sta ridisegnando i confini delle vecchie contrapposizioni. Le tesi tremontiane, peraltro non nuove, sono ormai note. Aspra critica agli “illuminati” e “fanatici” fautori della globalizzazione, richiesta di protezione per le industrie europee minacciate dalla concorrenza sleale dell’Oriente (con bordate, però, anche alla “tecnofinanza” d’Occidente), contestazione della tesi dello sviluppo storico lineare applicata al mercato (il cosiddetto mercatismo), necessità di riscoprire in economia la dimensione del pubblico.

Con queste uscite, Tremonti ha insinuato una divisione interna a entrambi i principali schieramenti. Innanzitutto, com’era prevedibile, s’è attirato le critiche dei liberisti della sua parte politica, ma anche di chi, nel centrosinistra, ha tenuto alta in questi anni la bandiera delle liberalizzazioni. Contro Tremonti, insomma, è insorto quel fronte trasversale che trova rappresentanza privilegiata sulle colonne del Sole 24 Ore e del Corriere della sera (gli articoli di Francesco Giavazzi e Mario Monti) e che, nel nome di un comune riformismo, sarebbe forse pronto, permettendolo le condizioni, a lavorare per un avvicinamento dei poli e per un’intesa bipartisan sulle riforme necessarie a “liberare la crescita”, secondo l’espressione mutuata dalla commissione francese di esperti guidati da Jacques Attali.

La cosa davvero interessante, però, è che a questo cartello, che collega Antonio Martino a destra con Nicola Rossi a sinistra, se ne sta – per ora timidamente – contrapponendo un altro, come testimoniano i giudizi molto favorevoli verso Tremonti di pensatori di sinistra come il sociologo Luciano Gallino e il vicedirettore della Fondazione Istituto Gramsci, il dalemiano Roberto Gualtieri (ma si possono aggiungere le posizioni aperturiste di un riformista limpido come Luca Ricolfi e – sull’altro versante – di un liberista a tutta prova come Oscar Giannino). Un’altra apertura molto significativa è arrivata dall’autore del programma del Pd, Enrico Morando, che in una lettera inviata al quotidiano il Riformista ha spiegato di sentirsi più vicino al libro di Tremonti che non al programma del Pdl…

Alla necessità tecnica di riforme che “liberino la crescita”, questo fronte potrebbe opporre la necessità politica di decisioni che “governino la globalizzazione”. Si tratterebbe di un ritorno in grande stile della politica, con la messa al bando di ogni tentazione tecnocratica, per quanto mascherata. Certo, al momento non si tratta di nulla più che di semplici suggestioni. Ma nel seguire la campagna elettorale non sarà sbagliato prestare attenzione, oltre che al confronto tra Veltroni e Berlusconi, a questo scontro sottotraccia innescato a sorpresa dalla miccia tremontiana.