Il ministro dell’economia, prima di partire per il vertice di Osaka, ha ribadito la necessità di una stretta radicale sulle stock option per boiardi di Stato e manager di aziende private. Per i non addetti ai lavori, chiariamo subito che le stock option sono diritti opzioni all’acquisto di titoli di nuova emissione di una qualsiasi società, che possono essere attribuiti ai dipendenti di una società come compenso per i risultati ottenuti.
Peccato che, come osservato da via XX Settembre, tali benefit vengano spesso riconosciuti a manager che non hanno prodotto risultati così brillanti. E’, questo, il caso di Luigi Zunino, che si è visto riconoscere ben 4,79 milioni di euro di stock option, con un incremento del 15% circa rispetto all’anno precedente. L’emolumento gli è stato concesso nonostante il netto peggioramento dei conti di Risanamento – di cui detiene oltretutto quasi il 73% del capitale – che ha riportato perdite per 91 milioni di euro a fronte dei 9 dell’esercizio precedente.
In buona compagnia di Zunino troviamo gli ex-Telecom Riccardo Ruggiero e Carlo Buora, a cui rispettivamente sono stati riconosciuti diritti per 17,277 e 11,94 milioni di euro. E quando in via XX Settembre fanno notare che è inopportuno premiare pure i manager le cui società navigano in pessime acque, forse si riferiscono proprio ai casi citati. Effettivamente è singolare che una società come Telecom paghi ciclopiche buonuscite a fronte di un altissimo indebitamento che spinge Bernabè e il nuovo management a tagliare almeno 5 mila persone dall’organico dell’azienda.
In generale, poi, è poco edificante per un sistema che si ispira ai principi del libero mercato concedere dei benefit a chi di fatto non ha raggiunto gli obiettivi, non creando redditività per gli azionisti, per il sistema Paese, e molto spesso ha pure contribuito al dissesto dell’azienda.
Al ministero, poi, si interrogano circa la limpidezza delle procedure che determinano l’attribuzione di tali diritti. Infatti non è corretto che i piani di stock option vengano promossi dagli stessi consigli di amministrazione dove siedono quei manager che sono in ultimo i beneficiari. Sussiste quindi un notevole conflitto di interesse tra chi decide e chi beneficia degli emolumenti. E anche in seguito alla deliberazione del piano, il management che ne trae vantaggio, continua ad essere in conflitto allorquando si trovi a dovere prendere decisioni che possono influenzare in negativo l’andamento dei titoli opzionati.
D’altro canto appare poco etico avallare super premi per il management in un momento in cui il potere di acquisto delle famiglie è in netta diminuzione in relazione alla stabilità dei salari e al continuo aumento dei prezzi. Inoltre i capitani d’azienda, che lamentano il calo dei consumi e plaudono a misure come il taglio delle imposte sugli straordinari, non contemplano una maggiore ridistribuzione dei profitti aziendali.
Sempre in tema di giustizia sociale, nell’attuale frangente in cui i tesoretti favoleggiati non sono così cospicui e i debiti di alcuni enti locali hanno per imperizia dei loro amministratori raggiunto cifre da capogiro, non è possibile concepire che le stock option siano totalmente esenti da tassazione.
Di fatto la legislazione vigente le inquadra come una forma di “azionariato popolare” e prevede che la loro emissione, presunta in favore di tutti i lavoratori, in particolare di operai e impiegati, sia esente da tributo.
Peccato che i piani di stock option siano essenzialmente deliberati in favore dei top manager che possono così effettuare plusvalenze faraoniche senza nulla dovere all’erario.
Questa strategia, infine, si addice poco o nulla alle aziende dove il principale azionista è il Tesoro. Il perché è presto visto: di riflesso, il loro aggravio ricade sulle spalle del contribuente.
Per questo motivo recentemente Mario Stella Richter, intervenuto all’assemblea degli azionisti di Enel in qualità di rappresentate del Tesoro, ha richiesto – con il plauso del Sole 24 Ore – un taglio ai piani di stock option varati dall’azienda “come un segnale nella direzione del contenimento della spesa e degli oneri per i vertici delle società controllate dallo Stato".